Sedici mesi di Mourinho: meriti e difficoltà del tecnico

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Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel 4 maggio 2021. Mentre la Roma doveva ancora affrontare la semifinale di ritorno contro il Manchester United in Europa League, la società giallorossa annunciò con somma sorpresa di tutti il prossimo approdo di José Mourinho sulla panchina capitolina, allora occupata dal connazionale Paulo Fonseca. Inevitabilmente, le aspettative sulla Roma si sono elevate a livelli mai visti e i tifosi più grandicelli hanno riprovato con piacere le sensazioni che solo la squadra scudettata del 2001 era stata in grado di trasmettere. Da anni a Trigoria non si vedevano personalità di questo rango ed è apparso evidente sin da subito che lo “Special One” avrebbe dato il via a una rivoluzione.

Per qualche addetto ai lavori scegliere la Roma serviva a Mourinho anche per rilanciare se stesso dopo l’esperienza opaca alla guida del Tottenham. Nonostante un palmarès di tutto rispetto, nel quale figura anche lo storico “Triplete” messo a segno con l’Inter nel 2010, il portoghese aveva accettato di allenare una squadra che non solo non avrebbe disputato la Champions League, ma che da tempo aveva manifestato anche limiti importanti nel riuscire a qualificarsi. La prima stagione, comunque, non poteva che essere di transizione. La classifica finale del campionato video così la Roma al sesto posto, di un punto sotto rispetto alla Lazio e a 7 lunghezze di distanza dal quarto posto occupato dalla Juventus.

Il destino ha voluto però che appena arrivato a Roma Mourinho si ritrovasse con una ghiotta opportunità di scrivere una pagina indelebile della storia del calcio. La UEFA aveva appena istituito la Conference League, alla quale i giallorossi erano riusciti a prendere parte per il rotto della cuffia, semplicemente in virtù di una migliore differenza reti rispetto al Sassuolo al termine dell’ultima stagione di Fonseca. La terza competizione europea per club non poteva forse significare molto per un tecnico come Mourinho che aveva vinto coppe molto più prestigiose con una formazione meno blasonata come il Porto, ma aggiudicarsi la prima edizione di un nuovo torneo internazionale sarebbe stato comunque degno di nota. Mou era palesemente l’uomo più indicato per compiere un’impresa del genere: diventare il primo allenatore di sempre a vincere tutte le coppe europee esistenti.

La prima annata del mister nella capitale non è stata però tutta rose e fiori. Di fatto la vittoria della Conference League da parte della Roma ha mascherato quelle che erano alcune evidenti pecche nella rosa capitolina. In più di un’occasione Mourinho si è prodotto nelle sue proverbiali esternazioni volte a distrarre la stampa per far cadere l’attenzione su problemi ben lontani da quelli reali. Anche nelle conferenze a Trigoria, quindi, non sono mancate risposte piccate al giornalista di turno o reprimende nei confronti di singoli giocatori. Il recente caso Karsdorp ha rappresentato solo uno dei tanti segnali dell’esuberanza tipica di Mourinho, apprezzato dai tifosi anche per quello spirito polemico quanto basta per infiammare la piazza, specie di fronte a un torto arbitrale o a un evento sfortunato.

Ciò che è certo è che se oggi la Roma gode di maggiore credibilità rispetto a un paio di anni fa lo deve in gran parte anche al lavoro del proprio mister, che ha avuto il merito di lanciare parecchi giovani e di saper fronteggiare ogni volta la maledizione degli infortuni che sembra infestare Trigoria, inventando puntualmente nuove varianti tattiche. L’identità giallorossa non è più quella di squadra che tenta di superare i propri limiti per sbarcare il lunario, bensì di una big che sa farsi rispettare da qualsiasi avversario. Tifosi, addetti ai lavori, ma anche scommesse e schedine sullo sport valutano ormai la Roma come favorita nella maggior parte dei casi. La “Lupa” è tornata a mostrare i denti.