Cesare Brandi, studioso poliedrico, storico e critico d’arte, ideatore de La Teoria del restauro, guardando alla pittura di Giorgio Morandi ha annotato: << appare maltita, appannata dai contatti umani… la durata è infinita>>.
E’ un’occasione unica per ammirare le lastre di rame originali da cui l’artista ha tratto poi le sue famosissime acqueforti, che sono esposte in vari esemplari nelle prime sale e che sono una rarità per gli occhi, dal momento che spesso sono rinchiuse in bacheche private o non esposte al pubblico. La tecnica a incisione raffinatissima ha permesso a Morandi di concentrarsi sulla resa perfetta del chiaroscuro e delle varie intensità attraverso cui la luce si propaga nei volumi plastici di bottiglie e tazze, occasionalmente di conchiglie, tabacchiere e frutti.
E in quel valore cromoluminoso nasce l’immagine pittorica, dalle numerosissime nature morte del salone centrale ai paesaggi esibiti al piano rialzato dell’esposizione fino ai fiori.
Perché se i più conoscono essenzialmente le sue tele, è dall’incisione che fondamentalmente si snoda il vincolo problematico dell’essenza dell’artista. Non a caso fu insignito del titolo di docente di grafica d’arte all’Accademia di Belle Arti di Bologna e ricevette il Gran Premio per l’Incisione alla Biennale di San Paolo in Brasile nel 1953, e solo nel 1957 per la pittura.
<<Erano poveri spunti, cose che non significavano per se stesse, in modo da poterle non fare significare affatto>> ha annotato ancora Brandi, il cui scambio di lettere con Morandi è accostato a quello che quest’ultimo ebbe con Roberto Longhi, figura fondamentale per la rivalutazione di Caravaggio ma anche critico d’arte e grande stimatore dell’operato di Morandi.
Quelle bottiglie non sono, dunque, semplici bottiglie: sono forme che si sottraggono infinitamente ai significati che possono avere nella nostra quotidianità.
<<Si può dipingere ogni cosa, basta solo vederla>> avrebbe detto della sua arte Morandi.
Ma qui la domanda è: siamo noi in grado di vedere?
Francesco Rotatori