Sembra proprio (dico sembra perché nel nostro paese non c’è mai niente di certo, sicuro, stabile e tutto può sempre cambiare), sembra, comunque, che adesso i nostri governanti vogliano mettere la conoscenza dell’inglese come elemento fondamentale nell’insegnamento, perfino insegnare la storia in inglese, e considerarlo elemento discriminante nella scelta dei futuri insegnanti. Così se qualche poverello conoscesse benissimo il cinese e il russo, oppure le lingue turche, parlate da 200 milioni di persone come prima lingua e alcune decine di milioni come seconda lingua, fra il Mediterraneo e il Mare glaciale artico, si troverà svantaggiato di fronte a chi sa esprimersi in quella lingua povera e priva di sfumature che è l’inglese dei rapporti internazionali, dei mercati finanziari e dei congressi dove chi lo parla, come lingua non sua, è molto meno intelligente del solito. Perfino il pensiero di chi lo parla come lingua madre ne viene, alla fine, svilito. E’ essenziale, si obietterà, per gli affari globalizzati.
Ma cerchiamo di capire meglio la situazione. Oggi le due grandi famiglie linguistiche, nel mondo, sono l’inglese e il cinese. Ma ce n’è un’altra, dimenticata e non solo dal grande pubblico, quella delle lingue neolatine o romanze. In una proiezione per il 2025, prevede che i Cinesi saranno 1.561 milioni, 1.048 milioni dei paesi anglofoni, 1.300 milioni di neolatini.