Bruni: “Chiude Mondo Convenienza a Tarquinia: ripensiamo il modello di sviluppo”

Riceviamo e pubblichiamo

Mondo Convenienza, storico e importante punto vendita del settore arredamento casa, chiude a Tarquinia, e i diciotto dipendenti e le loro famiglie si vedono costretti al trasferimento fuori regione o alla disoccupazione. Due anni fa, sempre a Tarquinia, era toccato ad un noto ipermercato, acquistato da un grosso competitore e poi chiuso.

Ora senza entrare nel merito delle libere e perfettamente legittime scelte imprenditoriali, che nello specifico riguardano una delle realtà più vivaci e in salute della grande distribuzione specializzata ed auspicando un proficuo intervento dei sindacati per cercare un accordo con l’impresa, vorremmo analizzare il problema del lavoro da una prospettiva generale esulando dal caso specifico.

Il primo aspetto da rilevare è che le cosiddette “riforme del lavoro”, da ultimo il famoso “jobs act”, lungi da stimolare la crescita dell’occupazione, come trionfalmente sbandierato dalle sedicenti forze di sinistra che lo hanno emanato, in realtà ha provocato soltanto una corsa alla precarizzazione dei posti di lavoro, da attuare anche mediante “apposite” chiusure strategiche, spesso seguite da nuove aperture, altrettanto strategiche, per poter ricorrere a nuove forme di impiego più vantaggiose per i datori di lavoro. Non si vuole certo colpevolizzare gli imprenditori, che in quanto tali, hanno quasi l’obbligo di sfruttare occasioni di riduzione dei costi, purché nel rispetto delle norme ed avendo la consapevolezza che un dipendente pagato di meno, è anche un cliente con minori disponibilità.

D’altro canto va messo in luce come il nostro mercato, essendo “libero” e facilmente aggredibile da parte dei colossi mondiali, stante la libera circolazione di merci, persone e capitali, costringe gli operatori ad adeguare al ribasso il costo del lavoro, pena la chiusura. Questo meccanismo, voluto e pianificato dai fautori della globalizzazione sin dalla fine degli anni novanta, alimenta una spirale al ribasso prezzi/salari, in un vortice che sta inghiottendo tutto e che alla fine vedrà vincitori solo i grandissimi gruppi a livello mondiale e perdenti una miriade di lavoratori sfruttati. Sempre le cosiddette “riforme”, che in realtà sono soltanto la progressiva e inesorabile cancellazione di tutti i diritti faticosamente conquistati dai salariati, con durissime e secolari lotte, consentono di ricorrere non più ad assunzioni dirette alle proprie dipendenze, ma a personale fornito da agenzie interinali e cooperative di somministrazione di manodopera, che ricordano da vicino le famigerate forme di caporalato, da tempo severamente vietate e che sono risorte, grazie alle “riforme” con modalità perfettamente legali e molto convenienti per i datori di lavoro.

A volte anche le piccole imprese artigiane e commerciali, (come lo era 30 anni fa anche quella che ci ha dato lo spunto di scrivere questo pezzo), per far fronte alla diminuita disponibilità economica della clientela, sostituiscono gli addetti che lavorano con loro da anni, con nuovo personale al quale è possibile applicare e nuove forme di lavoro precarizzato. Il settore degli appalti pubblici è sottoposto ad una duplice pressione: da un lato le norme europee obbligano l’apertura al libero mercato e quindi alla concorrenza mondiale, dall’altro è sempre più “asfittico” a causa dei vincoli di spesa imposti ai governi . Questo ha causato una crisi ormai sistemica dal lato della domanda, che nessuna riforma del mercato del lavoro e quindi dal lato dell’offerta, potrà mai risolvere. L’agricoltura, esclusi alcuni settori di nicchia, per rimanere competitiva, vista l’apertura del mercato alla concorrenza di paesi dove i vincoli di protezione del lavoro e ambientali sono inesistenti, deve necessariamente ricorrere a schiere di lavoratori, che giunti sulle nostre coste con vari stratagemmi sperando in un futuro roseo, si vede aprire soltanto una prospettiva di duro lavoro a salari bassissimi. Ma la pressione al ribasso è così forte che in tutti i settori si possono osservare varie forme di sfruttamento illegale, dal caporalato, al full time che risulta part time, dallo stage non retribuito che maschera assunzioni in nero, fino allo lavoro straordinario non retribuito, etc.

La situazione economica dell’Alto Lazio sotto questi aspetti rispecchia la realtà di un’Italia affamata di lavoro, dove il lavoro non c’è perché “non ci sono i soldi”, questo il mantra del pensiero unico dominante. Non ci sono i soldi per gli investimenti pubblici attesi da anni, non ci sono i soldi neanche per la spesa corrente degli enti locali, che faticano a garantire i servizi essenziali, non ci sono i soldi per le assunzioni nel pubblico impiego per riportarci in media con gli altri paesi europei, non ci sono i soldi per la sanità le cui liste d’attesa si allungano a vantaggio del privato, ma non ci sono i soldi neppure per tante famiglie che anziché spendere per la casa o magari per andare in vacanza, si vedono spesso costrette a far economia per poter arrivare a fine mese. Forse è arrivato il momento di fermarci a riflettere, di porci quelle domande che i media evitano accuratamente di approfondire in maniera seria. Il motivo per cui “mancano soldi” sono precise scelte di politica economica, studiate, pianificate e attuate minuziosamente, codificandole all’interno degli “astrusi” trattati europei. I soldi sono infatti l’unica risorsa inesauribile e praticamente a costo zero di questo pianeta, dal momento in cui non sono più convertibili in oro e vengono creati direttamente da computer, “dal nulla”.

La scelta di renderli una risorsa “scarsa”, risponde unicamente all’esigenza dei grandi capitalisti che con ciò ottengono due risultati: la scarsa o inesistente inflazione (o addirittura la deflazione), che mantiene inalterato o incrementa il valore dei capitali nel tempo e la disoccupazione, che consente l’abbassamento dei salari e delle tutele occupazionali.

Noi del Fronte Sovranista Italiano diciamo basta ad austerità e vincoli di bilancio e fiscali, che lontani dal renderci più “affidabili” ci rendono solo più poveri, basta a riforme del mercato del lavoro che ci dovrebbero rendere più “competitivi” e ci rendono invece solo più precari e impossibilitati a fare figli, basta alla libera circolazione dei capitali e dei lavoratori, che dovrebbe favorire lo sviluppo mentre costringe solo all’abbandono delle proprie terre. Basta soprattutto ricorrere all’uso di una moneta straniera come l’Euro, che ci obbliga ad indebitarci sempre più, non avendone il controllo della creazione. Basta con riforme che si sono dimostrate sbagliate e che un giorno verranno studiate nei manuali di storia e di economia come esempi di errori storici da non commettere più. Ma perché dovremmo importare una moneta e dei figli quando potremmo crearceli da soli? E’ ora di tornare ad attuare il programma economico scritto dai nostri Padri costituenti, che ha come obiettivo la piena occupazione, perché l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro e perché soprattutto è solo attraverso il lavoro che può rendersi attuabile la partecipazione alla vita democratica del popolo e quindi dare vita ad una democrazia compiuta.

Sergio Bruni
Fronte Sovranista Italiano per Riconquistare l’Italia – Alto Lazio