di Leo Abbate
Quello che non sopporto delle sconfitte, oltre al fatto che di solito ti fanno perdere, è la retorica. Ogni partita persa ha un suo rituale, sempre quello: le lacrime e lo sguardo attonito (“Ma come! Non abbiamo vinto?”), le frasi di circostanza ad omaggiare i vincenti (che si vorrebbero invece mandare affan***); sempre quelle, mantra banali e fasulli che si ripetono da secoli, le recriminazioni del senno di poi, le dichiarazioni stereotipate del politico di turno e poi, ci sono quelli, i più stronzi di tutti, che “loro lo sapevano”
Tutto questo teatro per nascondere una semplice, direi ovvia, verità: girano le balle a tutti. La Spagna se li fabbrica in casa i calciatori da titoli mondiali ed europei, come fossero biscotti, e noi non riusciamo a trovare un numero dieci di vent’anni. Ne formavamo a centinaia fino a qualche anno fa. Le leggi razziali (perché questo sono) non ci permettono di “naturalizzare” stranieri. Non basta nemmeno nascere in Italia per essere italiano!
Ed i presidenti delle squadre, tranne qualche rara eccezione, se gli serve un giocatore con un minimo di tecnica, invece di forgiarlo nei vivai, se lo vanno a comprare all’estero, come se fosse un paio di mutande. Si comprano dei giocatori di quindici anni.
Vanno a rompere le scatole fino in Honduras. Della nazionale se ne fregano, vogliono far solo soldi. Qualcuno che non ci riesce, arrotonda con il calcio scommesse e si “arrangia” con le plusvalenze (supervalutano dei brocchi per gonfiare i bilanci).
Se ci fermiamo un minuto a valutare tutte queste cose, il secondo posto agli europei è un miracolo. Scusate lo sfogo, ma non potete neanche immaginare quanto mi girano. A me i “miracoli” mi fanno quest’effetto.