di Anna Alfieri
Molti anni orsono mia madre, per una serie di strane circostanze, salvò dal macero un vecchio pacchetto di lettere che erano state gettate nella spazzatura come cose senza valore. Si trattava, invece, di tutta la preziosa corrispondenza privata ricevuta nel 1841 da Benedetto Mariani, ricco proprietario terriero di Corneto (oggi Tarquinia), città a quel tempo dominata da uno stretto gruppo di grandi agricoltori e allevatori di bestiame che da soli gestivano tutte le immense risorse del suo territorio.
Le lettere – sessantacinque – erano divise in vari mazzetti, alcuni dei quali composti da fogli di carta molto raffinata, altri di carta ruvida, altri ancora di carta addirittura rozza. Le grafie, che rivelavano i vari gradi di cultura degli scriventi, erano ora spigolose, ora tondeggianti, decise o incerte, diritte o inclinate. L’ortografia, la grammatica e perfino la sintassi erano invece usate da tutti con la cordiale, condivisa e speciale informalità del tranquillo parlare quotidiano tra familiari o tra amici molto fidati.
Da Camerino, Mita Mariani, ormai Contessa Bruschetti, inondò il padre di lettere traboccanti di affetto e di complicità. Con grafia minuta e regolare, su carta inglese di marca Bath color avorio, o rosa, o azzurrina, gli raccontava quasi quotidianamente ogni dettaglio della sua vita di giovane sposa. Dalla sua prima entrata in paese quando molte persone salirono perfino sui tetti e sui campanili per vederla passare in carrozza al suono della banda locale, alle bizzarrie del vecchio suocero, l’avarissimo conte Vincenzo “che comincia a rimbambire e è diventato come una creatura. Ma gli ottantanove sono passati e per la sua età è felice”. Dalle sue mansioni di padrona di casa nel grande palazzo arredato “all’ultimo gusto dove ‘ci potessimo’ ricevere qualunque signore”, ai bei giorni passati alla fiera di Senigallia o a Fabriano dove si faceva bella musica di teatro e di chiesa, e dove operava la Compagnia di cavalli di Bernabò che lei aveva già ammirato anche a Corneto. E una volta, ripensando proprio a Corneto, Mita si lasciò andare perfino ad un pettegolezzo e ciò accadde quando le giunse la clamorosa notizia che la sua cara amica d’infanzia Anna Maria Bruschi Falgari si era fatta rapire dallo spiantato ma fascinoso Giggi Mastelloni “noto nell’intera provincia per le sue dissolutezze e per i modi disonestissimi di sedurre”.
Con la lettera del 29 maggio, Mita inviò al padre un messaggio speciale: “Ora che sono passati tre mesi di gravidanza sicura, Saverio e io vi diciamo che dovete preparare un bel regalo per il primo nipotino che avrete, dovendo essere voi il compare”. E aggiunse: “Dite a zia Checca che mi faccia venire da Viterbo tre dozzine di fasce assortite e una di quelle più fini perché da queste parti non si trovano”.
Il 26 novembre fu, invece, il Conte Saverio in persona ad inviare a Benedetto la seguente grande notizia: “Mio carissimo suocero, circa le otto di questa mattina la mia Mita ha felicemente dato alla luce un bel figlio maschio. Quale sia l’allegrezza di tutti è inesprimibile”. Un mese più tardi lo stesso Saverio, nel fare gli auguri di Natale ai buoni amici, ai cari parenti di Corneto, precisò: “La mia Mita sta benissimo e il piccolo Cesare è un torello”.
Infatti, qualche anno dopo la sua pubblicazione, il mio scritto destò l’interesse di Emanuela Cesetti dell’Università di Macerata che, attenta studiosa di genealogie nobiliari marchigiane e dei relativi palazzi gentilizi, si mise subito in contatto con me. Io le inviai tutti i documenti a mia disposizione e lei, Emanuela, pochi giorni orsono, cioè alla fine del gennaio appena trascorso, mi ha fatto pervenire il suo ultimo libro ancora fresco di stampa, sorprendentemente intitolato Un tranquillo patriota di provincia, l’appartamento ‘all’ultimo gusto’ del Conte Saverio Bruschetti di Camerino. Un importante saggio storico che racconta i fermenti e gli eventi risorgimentali nelle Marche proprio attraverso le vicende familiari dei nostri Conti Bruschetti. Un testo severo che, però, io ho letto in un soffio, quasi volando, felice e incredula nell’aver ritrovato, virgolettate nel titolo, le precise parole che in un giorno lontanissimo la mia Mita aveva scritto a suo padre.
Sono, però, anche al corrente che Vincenzo, l’altro maschio Bruschetti, il burrascoso, velleitario e anche un po’ sfortunato Vincenzo, in poco tempo dilapidò l’intero patrimonio familiare, perdendo anche il prestigioso Castello di Rocca d’Ajello fino al suo ultimo arredo e l’intero palazzo di città che Saverio aveva amorevolmente ristrutturato, all’ultimo gusto, per accogliervi la sua giovane Mita.
La sua, ma anche la mia e la nostra Mita Mariani cornetana, che si sarebbe spenta a soli ventinove anni il 17 marzo 1851, quando la sua bellissima nidiata di figli aveva ancora un immenso bisogno del suo amore di mamma.