Coronavirus – Riccardo, 24enne di Tarquinia in Danimarca: “Un amico mi ha detto: avevo bisogno di speranza, l’ho trovata nell’atteggiamento di voi italiani”

(s.t.) Continuano i racconti su lextra.news da parte dei tarquiniesi che vivono da differenti realtà dell’Italia e del mondo (qui le testimonianze di Giorgia, Valentina e Matteo) l’emergenza coronavirus. Oggi è la volta di Riccardo, tarquiniese di 24 anni, Industrial & UX designer che vive A Kolding, in Danimarca, dallo scorso settembre e che da mesi è nel programma di eccellenza della University of Southern Denmark.

riccardo piras

di Riccardo Piras

Siamo sempre più spesso persi nella nostra forsennata routine giornaliera che perdiamo di vista più facilmente ciò che è davvero importante. Questa esperienza, terribile e paradossale, ci sta dando la possibilità di fare un passo indietro, di fermarci a riflettere non solo sulle vittime del contagio, ma sulle piccole cose della vita quotidiana, sull’importanza dei rapporti sociali e soprattutto degli affetti.

Che succede quando in una società che ci bombarda ogni giorno con social media e che ci offre mille modi per connetterci, viene di colpo preclusa ogni possibilità di contatto? Succede che ci rendiamo conto di quanto siamo in realtà soli. O di quanto abbiamo perso il rapporto diretto con le persone.

La Danimarca è ancora l’isola felice che ho conosciuto quando sono arrivato, ma anch’essa risente della situazione internazionale. Sin dall’inizio della pandemia sono state prese quasi tutte le misure di sicurezza applicate in Italia. Quasi, perché in generale, qui le misure restrittive sono meno rigide. Sono chiuse scuole e università, molte attività produttive, locali e punti di ritrovo, ma è ancora possibile incontrarsi in piccoli gruppi. Conseguenza del fatto che i numeri dei contagi qui sono nettamente più bassi rispetto agli altri paesi.

Per me la situazione è ancora più particolare: mi fa uno strano effetto vivere questa situazione a distanza, da un posto che non è quello che mi ha visto nascere e crescere. Quello che state vivendo in Italia sembra ancora più lontano e irreale. Sono passato dal sentire mia nonna che si preoccupava di quanto mangiassi, alle raccomandazioni accorate di restare in casa, di fare la spesa negli orari meno affollati e di non uscire con gli amici.

All’inizio della vicenda sentir descrivere l’Italia come il focolaio di questa pandemia e come il paese degli untori che andava incontro al collasso sanitario faceva male. Penso che l’Italia abbia fatto il possibile per arginare un’emergenza di questa portata, muovendosi prima di altre nazioni europee e raccontando direttamente ciò che accadeva, senza filtri, badando più alle iniziative per la salute che all’immagine che si dava. La verità è che siamo bravi, e che questa volta la sanità italiana si è mossa molto prima di altre. Noi italiani tendiamo sempre a tagliarci le gambe da soli. Dovremmo solo essere meno critici e più costruttivi rispetto al nostro paese, pur nelle grandi difficoltà in cui si trova.

Per quello che mi riguarda, passo le giornate tra decine di meeting online e progetti da consegnare. Fare Design al computer è una sfida stimolante anche se difficile. La nostra è una materia così inesorabilmente proiettata verso il futuro che dobbiamo sempre trovare approcci nuovi e diversi, per questo io ed i miei colleghi abbiamo accolto lo smart working di buon grado, come una buona soluzione all’emergenza.

Una cosa che mi manca davvero molto è fare sport all’aperto. Il clima danese, a tutti noto per non essere esotico, ha deciso di sfoderare bellissime giornate dall’inizio della quarantena. Non proprio l’incoraggiamento di cui avevo bisogno. Non mi resta che allenarmi a casa. Ho addirittura provato lo Yoga, anche se la sensazione è che abbia inventato una disciplina tutta mia.

Le persone che ho conosciuto qui mi dimostrano una grande vicinanza. Il primo pensiero di amici, professori e colleghi da settimane è sempre lo stesso: come stanno i miei cari in Italia, come vanno le cose e se ci sono miglioramenti. Due giorni fa un mio compagno di corso mi ha mandato una foto dello sfondo del suo computer: era una foto dei palazzi di Roma con uno striscione che diceva “ce la faremo”. Mi ha detto che aveva bisogno di un po’ di speranza in questo momento e l’aveva trovata nell’atteggiamento positivo di noi italiani. Un pensiero che mi ha fatto riflettere su quanto a volte, senza accorgercene, possiamo arrivare a migliaia di chilometri di distanza con poche parole.

CI tengo a mandare un abbraccio virtuale a tutti coloro che stanno combattendo tutto questo in prima linea, a tutti coloro che seguono scrupolosamente le norme restrittive per poter riabbracciare quanto prima i propri cari e poter tornare alla vita di sempre. Sono così orgoglioso di essere italiano! Non poter essere lì fa male, ma so che è la scelta giusta. Restiamo tutti a casa. Sarà ancora più bello stringervi presto.