L’incontro con Gherardo Colombo: cronaca di un evento mancato

di Pietro Riccioni

Che la manifestazione programmata e organizzata per la giornata di lunedì 1 febbraio dall’IIS Cardarelli di Tarquinia avesse tutti gli elementi per costituire un evento per certi versi irripetibile era fuori dubbio.

L’ospite invitato, infatti, era niente meno che Gherardo Colombo, vale a dire uno degli uomini (assieme agli altri colleghi di mani Pulite da un lato e Craxi e Berlusconi dall’altro) che hanno contribuito in maniera determinante a cambiare la storia del nostro paese in questo ultimo trentennio.

Va detto che il personaggio, sotto il profilo dello spessore morale ed intellettuale, non ha deluso la platea, rivelandosi oltretutto, quando riusciva a stringere senza dilungarsi in maniera dilemmatica, comunicatore persuasivo e spiritoso, grazie al fascino retorico di una lectio magistralis aperta al dibattito e ispirata ai dettami della maieutica affabulatoria.

L’oggetto dell’incontro verteva sul valore della legalità, tema che l’ex funzionario ha inteso promuovere da qualche anno mediante la pubblicazione di due libri (“Sulle regole” e “ Lo Stato sei tu”), impegnandosi in una serie di convegni con le scolaresche italiane.

Esso non può prescindere dai principi cardine che hanno plasmato la nostra Costituzione, basata sulla triangolazione orizzontale e non gerarchica fra pari diritti, pari doveri, pari dignità.

Inoltre tale valore, ha aggiunto Colombo, non deve essere demandato principalmente o esclusivamente agli strumenti addetti al suo mantenimento, quali i tribunali e le istituzioni, quanto piuttosto rintracciato in un processo di maturazione civile ed individuale, il cui motore risulta essere la tendenza o la spinta, compulsiva e al tempo stesso gratificante, all’autoeducazione.

Di norma quindi, dopo il corretto e inevitabile riferimento alla nostra carta, nel contesto, il richiamo accademico all’imperativo categorico kantiano. Abbastanza trita invece, nel gioco delle domande e delle risposte conclusivo, l’esortazione sufi all’essere se stessi (variante socratica del conoscere sé stessi), per una platea, formata in massima parte da adulti, che richiedeva, nell’attuale congiuntura storica, qualcosa di meno vago che l’autodeterminazione e la buona volontà individuale per condividere e far rispettare il senso della legalità, o per recuperarne il valore. Citazioni che, come era prevedibile, hanno offerto la stura per altri interventi oscillanti fra la predica e l’ecolalìa, in cui l’ elemento sostanziale era l’apoftegma estorto a qualche altro personaggio. Poteva essere grande come Gandhi, arguto come Rochefoucauld, ordinario come Marzullo, che tanto poco la cosa sarebbe cambiata: l’importante era strappare l’applauso, o avere il cinque dal grande mentore di turno, secondo un rituale conclamato da codice sportivo, cosa alla quale Colombo non s’è sottratto.

D’altronde, se il rispetto della legalità deriva principalmente dagli “esercizi spirituali autoeducativi” che portano alla autocoscienza, per quale motivo il pool di cui Colombo era un elemento cardine ha intrapreso quell’esperienza che va sotto il nome di Mani Pulite? Perché non contare invece sulla deontologia autocosciente di Craxi e soci? Ve li immaginate voi a quali livelli di autocoscienza e libero arbitrio è capace di arrivare il nostro Presidente fra i locali di Villa Certosa o Villa San Martino? D’altronde non possiamo negare che egli non cerchi, in tutte le maniere, ed attraverso un impegno strenuo, anzi per certi versi disperato ed eroico, di essere soprattutto se stesso.

Il minorenne che è stato ucciso qualche giorno fa a Qualiano in una rapina non cercava forse di essere se stesso? In quell’aula lunedì vi erano molti professori. Io, oltre ad essere me stesso, sono anche un professore. Premetto anche che non sono un italiano piagnone. Sono però cosciente del fatto che se vado a chiedere in classe ad un mio alunno di quelli un po’ “andanti” di essere se stesso, al di là del rispetto delle norme e del possibile pericolo della sanzione disciplinare in cui può incorrere, il minimo che mi può capitare è essere costretto a chiamare il gommista.

È ovvio, come è giustamente emerso nel corso dell’incontro, che una società non può basarsi esclusivamente sulla repressione. Deve in qualche modo prevenire. E il migliore strumento (forse il solo) di prevenzione è, come ha ripetuto Colombo, la conoscenza e la consapevolezza di appartenere ad un consesso in cui gli interessi singoli non possono essere disgiunti da quelli pubblici, giungendo ad una condivisione partecipe delle regole (fra l’altro apprezzabile il fatto che egli abbia utilizzato il termine conoscenza al posto del più abusato cultura, che oramai, ohimé, è sin troppo in odore di spregiativa obsolescenza).

L’impressione ricavata alla fine, dopo le sfrangiate battute terminali e l’excursus escatologico che aveva tutto il sapore di un memento mori, è stata però che già è difficile affrontare un problema come la nostra dipartita ed immaginarsi cosa accadrà dopo di essa, figuriamoci arrivare sino al punto di torturarsi l’anima e soffrire per comprendere in che maniera ci si forma, o viene formata, una coscienza. Vale a dire l’esatto opposto di quelle che erano le premesse iniziali e l’obiettivo latente di un happening pieno di riflessioni intense, ricchissime e proficue, ma a cui è venuto a mancare in sede risolutiva il corollario.