Tra di essi, anche Marica Magnalardo, ragazza AuPair che da novembre 2017 vive ad Hoboken, in New Jersey e che vi resterà per altri sei mesi grazie all’opera dell’agenzia Cultural Care. “Mi sono registrata come volontaria all’incirca 3 mesi prima – ci racconta oggi – e grazie alla mia agenzia ho potuto avere un posto tra i 12 mila volontari. Altre ragazze Aupair che conoscevo avevano partecipato negli scorsi anni, così ho seguito passo passo il gruppo Facebook dei volontari per sapere quando aprivano le iscrizioni. Io in particolare, insieme ad altre 700 AuPair provenienti da tutto il mondo e che attualmente risiedono negli USA, abbiamo aiutato nelle Fluids Stations, situate ad ogni miglio, in cui davamo ai maratoneti acqua e Gatorade. Ho potuto scegliere il miglio in cui fare volontariato – e ho scelto quello più conveniente da raggiungere da dove attualmente vivo, in New Jersey – ma non il turno di lavoro: così mi è capitato quello del mattino, dalle 7 e 45 alle 12 e 30, e ho dovuto alzarmi alle 5. Cosa che, con il cambio di orario che qui è avvenuto proprio ieri, ad una settimana di distanza dall’Italia, è stata una faticaccia! Ma la giornata mite era davvero stupenda e perfetta per correre, e anche la sveglia all’alba è stata ripagata”.
“Nonostante qualche problema con i treni ed i lavori ai binari – prosegue Marica – io e la mia amica messicana, anche lei Aupair, siamo arrivate puntuali (per fortuna!) al miglio 18, tra la 96th Street&1st Avenue: con noi c’erano circa altre 100 AuPair, ho conosciuto persone da Cina, Olanda, Germania, Argentina, Brasile, oltre ovviamente a tante altre italiane. Appena arrivate ci hanno consegnato il poncho verde, la cuffia con scritto VOLUNTEER e il nostro cartellino identificativo con nome e cognome, visto posseduto e il lavoro che stiamo facendo negli USA: gli americani, in quanto a sicurezza, sono sempre al top! Abbiamo sistemato oltre 6000 bicchieri, chiacchierato con gli agenti di polizia e con le nostre responsabili in attesa che la maratona iniziasse”.
“Non abbiamo aspettato a lungo – continua il racconto – prima che i maratoneti in sedia a rotelle arrivassero alla velocità della luce: abbiamo iniziato a gridare e fare il tifo, l’atmosfera si è iniziata a scaldare subito. Poi è stato il turno delle donne professioniste, e posso dire che volavano davvero: in meno di 90 minuti erano già arrivate a fare i 2/3 della gara! Incredibile! Poi è stato il turno degli uomini professionisti: in questa prima fase abbiamo solo tifato perché nessuno ha preso da bere”.
“Solo dopo il passaggio del primo gruppo di atleti non professionisti è iniziato il vero lavoro: un fiume interminabile di persone ha iniziato a correre davanti ai miei occhi. La cosa più entusiasmante è stato quando la prima persona ha afferrato il bicchiere che avevo teso, prendendolo con un “Thank you”. È stato un secondo ma la scarica di adrenalina è stata forte. Esilarante è stato vedere alcune persone che portavano le bandiere della propria nazione: addirittura un ragazzo era vestito da pikachu, un altro ancora da tacos! Ho amato vedere persone di tutti i colori e nazionalità insieme, correre felici, con motivi diversi: chi per una raccolta fondi, chi per una sfida personale… tutti però rispettosi degli altri. E mi sono sentita felice quando, dopo aver detto ad una ragazza: “Go! You are the best, you can do this!” (Dai! Sei la migliore, puoi farcela!) Mi sono sentita rispondere: “No, you are the best! We couldn’t do this without you guys!” (No, voi siete i migliori, non potremmo fare quello che stiamo facendo senza di voi”). Orgogliosissima dei tanti italiani che ho intravisto nella folla e che ho cercato sempre di spronare gridando un “Dai Italia!”; ho scoperto a metà gara che una signora del mio paese, Offagna, in provincia di Ancona, stava correndo in quel momento, assieme al famosissimo e simpaticissimo Gianni Morandi!”
E l’impatto con la società e la cultura a stelle e strisce? “L’America è sotto certi aspetti un paese di contraddizioni – ci spiega Marica – a partire dal fatto che hai un’assicurazione medica, ma poi le medicine devi pagartele da solo e fartele rimborsare dopo. Nella vita di tutti i giorni sono diversi nelle abitudini, tanto che in moltissime famiglie non esiste il pranzo perché tutti sono a scuola o a lavoro e molte volte nemmeno cenano insieme. A livello familiare, poiché qui la giornata lavorativa è di 24h su 24, manca un po’ il senso di condivisione e di festa che si ha in Italia ogni volta che ci si mette a tavola tutti insieme e questa è sicuramente una mancanza che si fa notare”.
“Una cosa totalmente diversa dall’Italia e dall’Europa – continua poi – è la mancanza di attenzione per cose semplici come il riciclaggio o il risparmio energetico, che sono quasi a zero. Ho viaggiato parecchio e posso dire che in nessuno Stato qui esiste una raccolta differenziata come in Italia. Quindi, insomma, qualcosa da invidiare ce l’abbiamo sicuramente”.
“Degli americani – conclude infine Marica – mi piace che siano cordiali, che non gridino e che siano sempre pronti a scambiare due parole. Ogni tanto i newyorkesi passano per cafoni perché corrono, corrono sempre, ma se hai davvero bisogno di aiuto troverai qualcuno pronto a fermarsi o anche solo a farsi due chiacchiere alla fermata del bus”.