di Francesco Rotatori
Sorprendentemente, è Zanazzo stesso a iniziare il dialogo, chiedendoci che cosa sia per noi l’Arte. Un po’ spiazzati, rispondiamo che a nostro modesto parere l’Arte non ha una sua definizione a priori, che essa nasce all’interno dell’uomo, come un fuoco, che ammaestrata dalla tecnica viene creata e allo stesso tempo comunica col mondo che lo circonda. Da parte sua, partendo dalla concezione che Arte è soprattutto dare e non ricevere, come erroneamente i più ritengono, Zanazzo ribadisce l’idea fondamentale che questa non è più considerata una scienza, ma dovrebbe esserlo, in quanto fa parte dello scibile umano, essendo essa stessa un mezzo per l’evoluzione dell’umanità, e non un fine. Se infatti la considerassimo un fine, faremmo del male non solo a noi individui, ma alla conoscenza vera e propria. L’Arte è perciò un concetto talmente alto e sacro – bellezza, ordine, proporzione ma anche disciplina, cultura e conoscenza – che ridefinisce l’artista stesso.
D’altra parte, l’artista deve essere anche estremamente altruista, in quanto egli non lavora per sé, ma dovrebbe operare per il bene comune.
Sorge dunque spontaneo chiedere quale
L’artista è dunque colui che attinge alle alte sfere, ma ne può riportare in questo mondo, dove tutto è limitato e il narrare diviene ineffabile, solamente un mero ricordo, una sensazione. E questa sensazione è l’Arte, che non può che essere imitazione del sublime. E nelle opere in mostra questo è ben evidente: l’anima alita dentro quei corpi in ferro, così come palpita l’anelito all’infinito tra gli sguardi penetranti e i giochi di volute e sfere, con omaggi a Michelangelo, alla tradizione classica e a quella cristiana. Un’energia brulicante attraversa come d’incanto le sculture in esposizione, risucchia nella sua fiammeggiante meteora l’osservatore che non può non lasciarsi condurre in questa danza che dal ferro fa emergere il moto et il fiato.