di Anna Alfieri
Ho conosciuto Aldo Morelli nei primi anni ’70 quando era un giovane uomo dalla pelle chiara e dai capelli folti e le sopracciglia nerissime. Elegante, fascinoso e gentile come Marcello Mastroianni che in quel tempo era il sim
Nell’entrare, per incominciare sicuramente bene la giornata, gettavo un’occhiata veloce alla sua cravatta. Sì, perché le cravatte di Morelli erano un mito, quasi un oggetto di culto per le insegnanti giovani e ardite. Cravatte pregiate, dono raffinato e impeccabile di una certa bella signora, la quale – si mormorava in paese – era innamorata di lui e da lui ricambiata. Una passionale signora capace di essere gelosa perfino di me, ragazza forestiera e, quindi, secondo lei, assai tentatrice.
Ciò nonostante, con Morelli andavo realmente d’accordo perché ci capivamo con poco: nei piccoli momenti a nostra disposizione commentavamo le notizie del giornale, ci scambiavamo qualche semplice informazione sulle nostre rispettive famiglie e discutevamo di politica. Fu infatti proprio Aldo Morelli il primo a parlarmi, con tutta la passione che lo distingueva, di Don Lorenzo Milani, il prete-insegnante scomodo e rivoluzionario della scuola di Barbiana al Mugello, sua figura di riferimento pedagogico e morale. Sì, Don Milani di cui Aldo ricalcava laicamente le orme in modo consapevole e concreto mettendosi a totale disposizione di tutti quelli che,
In seguito al mio trasferimento, Morelli e io non c’incontrammo più per anni e anni, come se Tarquinia e Montalto fossero separati tra loro da mille chilometri di strada accidentata. Quando finalmente lo rividi, era già così malato che mi sembrò un estraneo. Aveva i capelli lunghi e bianchissimi, il volto cereo, la pelle fragile come un velo di seta e lo sguardo ‘alto’ di un veggente affabulatore. E – soprattutto – non portava la cravatta! Indossava invece due maglioni sovrapposti, un giaccone verde, una bella sciarpa e un cappello a larghe falde un po’ brigantesco. Inoltre, cosa che colpì particolarmente la mia immaginazione, ostentava un bastone di
Poco tempo dopo, al suo funerale, tra tanta folla a me ormai sconosciuta e tra tanti discorsi a me estranei, mi sentii spaesata, ‘asimmetrica’. Perché mentre tutti commemoravano in Morelli un personaggio carismatico anche se controverso ormai entrato nell’immaginario collettivo montaltese come un’icona, io, e solo io, salutavo in lui l’uomo bruno, bello, elegante e gentile che era piaciuto tanto alle donne e perciò un pochino anche a me.