di Francesco Rotatori
La fabbrica elettrica fu inaugurata nel 1912 nei pressi del fiume Tevere e appena fuori dalla cinta daziale. Subì diversi ampliamenti tra gli anni ’20 e ’30 fino alla definitiva chiusura nel 1963. Il vecchio edificio sembrava ormai una cicatrice sul volto della città che si stava velocemente allargando in seguito all’abbandono e al penoso stato di degrado in cui versava, finché i Musei Capitolini non pensarono ai suoi ampi spazi quando, nel 1995, enormi lavori di ristrutturazione nella galleria lapidaria avevano costretto numerosi pezzi a scegliere un’altra momentanea destinazione. Prontamente ripuliti e riorganizzati per ospitare eventi culturali, gli ambienti della vecchia centrale a partire dal 1997 ospitarono LE MACCHINE E GLI DEI, un’interessante esperienza di connubio tra le antiche statue e la moderna costruzione. La Sala delle Colonne al piano terra vide sparire i carrelli per il trasporto del carbone mentre dal soffitto pendevano ancora le tramogge originali; la Sala Macchine al piano superiore apparve come una lunga galleria di ritratti e statuaria antica al cui centro era stato fatto sorgere il frontone del tempio di Apollo Sosiano; la Sala delle Caldaie, con un’unica imponente caldaia, si preparò ad accogliere i reperti degli horti dei mecenati e delle ville dei divertimenti.
Si rivolge dunque un appello a gustare un’esperienza di certo unica per riscoprire affascinanti tesori, antichi e moderni, e respirare l’aria di un complesso museale completamente diverso da quelli in cui solitamente visioniamo certi manufatti d’epoca.
E alla fine della nostra visita, quando la luce del meriggio filtrerà dai finestroni e ci inonderà del calore che prelude l’imminente nuova stagione, verrà spontaneo chiedersi se per una volta, invece di camminare nella tradizionale e trafficata piazza del Campidoglio, avremmo fatto bene a concederci uno sprazzo di quiete in questa casa silente.
Avremmo reso omaggio a delle antiche sculture certo, ma avremmo anche iniziato a pensare a quanto sia meravigliosa la realtà che a volte banalmente etichettiamo e a quanto c’è ancora da vedere e capire prima di dirci veramente sapienti.