Lettere al Direttore: “Il mio Paese mi stringe a sé: ce la faremo!”

Riceviamo da Sergio Guiducci e pubblichiamo

Sono le 3 di notte e mi ritrovo, camminando, per le vie del mio Paese.

Non è il periodo giusto, siamo in quarantena, ma un richiamo misterioso mi ha portato fuori di casa. La mascherina e i guanti sono nelle mie tasche volutamente, voglio assaporarmi tutto. Mentre supero la chiesa di San Francesco sono solo, completamente immerso nei miei pensieri, che scivolano via chissà dove.

Guardo il mio Paese e sembra che mi contraccambi lo sguardo; il mio Paese… ferito, dubbioso, abbandonato, ma è intorno a me e sembra aspettarmi, come dire: “Perchè hai atteso così tanto?”

Credevo di essere solo, ma è Lui a farmi compagnia; le sue luci notturne fioche e tristi, le sue strade così stranamente silenziose, un silenzio assordante. Strade vogliose di brusii, di grida, di vita.

Chiudo gli occhi ed è il mio Paese che parla… l’Alberata mi sorride, un sorriso forzato e buio. Mi bisbiglia Piazza d’Erba, come volesse non disturbarmi. Mi urla in tutta la sua bellezza Santa Maria in Castello come se volesse destarmi. Mi fa l’occhiolino la Fontana di piazza del Comune, come per rassicurarmi.

Ma poi, il mio Paese trova il coraggio, la forza di secoli di storia, il coro è unanime, forte, vigoroso: torneremo più forti di prima, torneranno gli abbracci, i baci appassionati, le pacche sulle spalle; non può né deve finire così, non può né deve avere il sopravvento questo maledetto “mostro” che ha portato via troppe persone e tante certezze.

Il mio Paese parla e si accorge che chi ha bisogno di protezione, di essere rassicurato di avere un qualcosa o un qualcuno in cui credere, sono io. Il mio Paese, così antico, cosi ricco di vie malinconiche ma con una luce ineguagliabile; ed io che ho sempre creduto che non si accorgesse di me! Lui, testimone delle mie illusioni, delle mie risate e delle mie lacrime, delle mie vittorie e sconfitte, delle mie speranze e convinzioni.

Il mio Paese, che a modo suo allarga le braccia e mi stringe forte a sé, Lui che si commuove ma non molla, che vuole tornare a vivere la normalità come me, come noi. E’ il mio Paese e mai come ora so di appartenergli, mi sento fuso insieme a Lui, parte del suo passato così ricco e vigoroso. In questa notte magica piangiamo insieme, ridiamo insieme, fantastichiamo insieme. I sogni sono gli stessi, la speranza è la stessa, la forza è la stessa.

Cosa mi ha spinto fuori le mura della mia casa, inizialmente, non lo sapevo. Mi sono messo in strada e le gambe sono andate da sole. Ora lo so: è Tarquinia, il mio Paese e ne vado fiero. E mentre salgo le scale per aprire la porta e rientrare a casa è ancora Lui che dolcemente, sottovoce, mi sussurra: ce la faremo.

Sergio Guiducci