Lettere al Direttore: “La via del Sale”

Riceviamo da Luigi Calandrini e pubblichiamo

Oggi dopo diverso tempo ho ripercorso la “via del sale” meno conosciuta come via G. Garibaldi. Non quella del centro abitato di Tarquinia bensì quella che percorre il Borgo delle Saline tagliandolo a metà fino ad arrivare allo stabilimento dei “Sali
Scelti”. O meglio quello che resta dell’edificio.

Debbo dire che non pensavo di trovare quell’intera area – così come gli edifici che costituiscono il borgo – in uno stato di abbandono ed incuria indescrivibile, come li ho visti oggi. I pini marittimi secolari che facevano da cornice alla via principale sono ormai un ricordo. Così come quelli che fiancheggiavano le vie trasversali. Non più un’aiuola fiorita e ben curata dalle famiglie dei salinari che vi abitavano. Non più una sede stradale degna di questo nome. A terra ancora le testimonianze dei tronchi segati alla base e transennati alla meno peggio per la “sicurezza” di chi si addentra in quei luoghi spettrali.

Non meno stupore destano le abitazioni (sicuramente inagibili sotto il profilo igienico sanitario) ed i loro occupanti con strutture esterne dove stazionano e fili carichi di panni stesi. Ovunque immondizia ed incuria. Non esagero nel dire che quando entri nel borgo hai la sensazione di entrare in un campo Rom, con tutto il rispetto per i rom.

Unica nota positiva e sicuramente avulsa dal contesto (analogamente a quella occupata dall’Università della Tuscia), la palazzina che ospita la ex Guardia Forestale di Stato ed i suoi occupanti che con abnegazione ed impegno giornaliero continuano a garantire la sopravvivenza della riserva naturale ed il suo prezioso abitat in modo più che dignitoso, dimostrando un senso civico ed un impegno sociale encomiabili.

Se poi, percorsa tutta la strada, osi alzare lo sguardo sullo stabilimento dei Sali Scelti (vedi foto a margine) ti assale il dubbio che tu possa essere l’ultimo visitatore a vedere quella struttura in piedi. Si, proprio così, perché ponendo attenzione sulle travi e i pilastri in cemento che costituiscono la struttura portante dell’edificio  ti accorgi che questa – ormai erosa dal tempo e privata di qualsiasi intervento manutentivo  – è sul punto di collassare in vari parti, con il rischio concreto che questo stupendo gioiello di archeologia industriale si trasformi, prima o poi, in un cumulo di macerie.

Una semplice domanda: si può ancora sperare di recuperare quei luoghi, magari attribuendo loro il giusto valore sociale ed un corretto riuso attraverso una sapiente previsione urbanistica e naturalistica per il recupero di quei consistenti volumi da correlare all’immenso tesoro costituito della riserva naturale?

Luigi Calandrini