#parliamone – “A Tarquinia manca un’identità: da quarant’anni si parla sempre delle stesse cose”: Giuseppe Castellini parla di Tarquinia

“A Tarquinia manca un’identità di sviluppo: non c’è industria, non ci sono alberghi. E sono quasi quarant’anni che si parla sempre delle stesse cose: il Lido, San Giorgio, i parcheggi, la promozione turistica… Ma quale è lo sviluppo verso cui si orienta questa città?”.

Giuseppe Castellini l’ha capita in un attimo la filosofia di #parliamone, la rubrica de lextra.news che vuole mettere a disposizione una piattaforma di discussione sui problemi e le opportunità di Tarquinia. E anche se da Perugia, dove dirige il Nuovo Corriere Nazionale, vive con più distacco – quantomeno geografico – la realtà tarquiniese, l’analisi che propone è di estrema lucidità”.

“La svolta, per questa città, pareva arrivata negli anni ’60 – avvia il ragionamento Giuseppe – con il Lido, con la località balneare che, imbroccando appieno il momento del miracolo italiano, dava valore aggiunto ad una città che già aveva trovato una rinnovata spinta dall’agricoltura, con la riforma agraria ed il miglioramento dell’irrigazione”.

“Ma dopo quegli anni d’oro, quello sviluppo venuto, in pratica, da sé, e oltretutto orientato male, Tarquinia si è imballata. Già tra la metà e la fine degli anni ’70 il Lido si scopre limitato: Tarquinia non è Rimini, ha una struttura diversa, e questo incide. Così come incidono le minori risorse a disposizione, che svelano come quella del decennio precedente fosse un’illusione. Ecco, da quel momento, Tarquinia non ha più avuto le idee chiare: davvero, a tutt’oggi, sentiamo discutere delle stesse cose di cui si parlava allora, e questo è un sintomo evidente delle condizioni della città”.

giuseppe castellini

Il ragionamento di Castellini passa poi dal piano storico a quello più prettamente politico, anche interpretando il responso delle ultime tornate elettorali. “La sinistra, a Tarquinia, è stata in questo lungo frangente un elemento di conservazione. – la riflessione di Giuseppe – Con una città ancora vivace, a partire da Luigi Daga si è operato soprattutto per fare da scudo alla città contro le minacce, tutelandola dallo sfruttamento di forze esterne e poteri che apparivano poco limpidi: e la cosa aveva un senso. Si ragionava in difesa, insomma, perché ancora non serviva di pensare in avanti. Ma la crisi ha cambiato le prospettive, e la sinistra non ha capito la richiesta, da parte della città, di uno sviluppo. Non bastava e non basta più tenere bene la città: serviva e serve una prospettiva di lavoro e di crescita. Non trovando, su quel fronte, queste risposte, ritenuto primarie ed essenziali, molta parte dell’elettorato si è indirizzato a chi lancia un messaggio chiaro di occupazione, di sviluppo, di lavoro”.

E quali scelte strategiche andrebbero fatte per far ripartire questa città? “Sinceramente, non saprei dirtelo. – prova a rispondere Castellini – Per quel che riguarda l’edilizia, ad esempio, che da sempre è un volano, oggi manca la domanda. Però va data una risposta alla città: non vivo più e non conosco appieno la situazione di Tarquinia, ma serve qualcosa che dia la speranza di guardare avanti, e che permetta di farlo in modo serio, non con le promesse elettorali. In fondo, mi pare che in questo scenario nessuno abbia le idee chiare: nelle ultime campagne elettorali paiono tutti girare a vuoto”.

“La grande domanda in tal senso è cosa di nuovo e di strutturale si può fare a Tarquinia. Credo che un punto di partenza possa essere, ad esempio, guardare cosa di buono hanno fatto gli altri. A Perugia, per parlare di un caso concreto, hanno preso come riferimento Liverpool, puntando sull’hi-tech e cercando di diventare una città punto di riferimento in quell’ambito. Certo, serve il coraggio di provare a cambiare: a Tarquinia vincerà chi saprà trovare questa chiave, altrimenti si manterrà questo clima, passando di delusione in delusione. Ormai il ciclo positivo è finito da un pezzo, e bisognava capire che c’era da aprirne uno del tutto nuovo”.

“Vuoi un’idea? – continua Giuseppe – Beh, si potrebbe pensare di cablare la città, stringere un accordo con qualche università e lavorare per rendere Tarquinia un centro tecnologico elevato, con aziende specializzate che lavorano nell’ambito. La vicinanza con Roma può essere, a tal proposito, un’opportunità di collegamento e divenire un polo di alta innovazione, fra l’altro, comporterebbe un basso impatto ambientale. Come muoversi? Il pubblico potrebbe mettere a disposizione la struttura logistica e l’idea che, trasformata in un business plan concreto e ben costruito, può consentire di rivolgersi ai privati per i fondi da investirvi”.

La chiusura è quasi un appello in vista della campagna elettorale che, a Tarquinia, si apre ufficialmente sabato mattina. “Quello che servirebbe è un bel dibattito pubblico, qualificato, su questi argomenti: un confronto che si concentri sui temi, sulle idee e non sulle persone e le promesse. Se la campagna elettorale si imposta in questi termini, migliora tutto”.