Poco calcio, tanta tristezza, un po’ di vergogna

di Attilio Rosati

Complice una messe di squalifiche che ha praticamente azzerato gli staff tecnici della Corneto Calcio, mi sono ritrovato, cari amici, nientemeno che sulla panchina degli Juniores d’elite, nell’insolita veste di Mister in seconda.

Come era naturale, gli Juniores hanno perso (2 a 1) contro la terza in classifica, l’Almas, e con un Mister del genere è andata pure bene, dato che non ci hanno esiliato tutti quanti a Caprera.

Avrei voluto regalarvi un resoconto emozionato ed ironico di questa esperienza unica e (spero) irripetibile, poi Amico è caduto e di colpo è cambiato tutto.

Amico era abituato a cadere e a rialzarsi; tante volte in ginocchio, per colpa della vita, tante volte a testa alta, in piedi a combattere senza odio, per pura gioia di vivere.

Una gioia ostinata, che la perdita dei genitori e del fratello, la necessità di prendersi cura di una sorella disabile, non avevano minato.

Due volte in ginocchio prima di arrendersi, faceva male vederlo rialzarsi e cadere di nuovo, faceva male, ma nessuno ha voluto che girassimo la faccia. La dignità di morire e la bellezza della morte riposano sulla solitudine del gesto, accompagnato dall’amore di chi ti sente nel cuore e non dalla compassione delle moltitudini.

Persino su un campo di battaglia ognuno muore per conto suo, ma su un campo di calcio no. Ai cinquantamila capitati per disavventura sugli spalti si aggiungono i milioni e milioni di occhi di telecamere. Milioni di voci di telecronache e resoconti radiofonici. E poi la spietatezza delle immagini che si ripete, ovunque all’infinito, non una celebrazione del dolore ma la cantilena ossessiva e vergognosa della morbosità, che non ti lascia, che ti perseguita anche se non lo vuoi.

E, dulcis in fundo, le statistiche di tutti coloro che negli ultimi 20 anni hanno vissuto la stessa morte e la raccapricciante consapevolezza che nelle prossime statistiche anche Amico sarà ricordato, come un numero. Non c’è modo di evitarlo, questo macabro censimento, si perpetuerà all’infinito. Ci farà dimenticare la bellezza del calcio, di tanto in tanto e ci ricorderà quanto sia importante e nobile, morire da soli. Senza doversi vergognare, un attimo prima, di essere stati parte di uno spettacolo. Lo spettacolo più bello del mondo.