

Riceviamo dal Comitato No Fotovoltaico Selvaggio Montalto e Pescia e pubblichiamo
Le temperature record che colpiscono in questi giorni la fascia costiera tra Montalto di Castro e Pescia Romana non stanno solo mettendo a dura prova la tenuta fisica delle persone, ma stanno devastando silenziosamente la terra e chi la coltiva. Meloni bruciati prima della raccolta, pomodori disidratati ancora sulla pianta, ulivi spaccati dalla sete, animali allo stremo. Scene che ricordano le cronache da Albinia o dal Tavoliere pugliese, ma che sono ormai realtà quotidiana anche nella Maremma laziale.
Mentre si moltiplicano gli appelli a livello nazionale per fronteggiare le ondate di calore con piani straordinari e fondi emergenziali, a livello locale il grido degli agricoltori resta spesso inascoltato. Eppure, ciò che accade in questi giorni nei campi dell’Alta Tuscia è drammaticamente chiaro: senza acqua, senza ombra, senza una strategia agricola che metta al centro il clima, l’intero comparto rischia il collasso.
A peggiorare la situazione, è l’incontrollata diffusione di impianti fotovoltaici a terra che – pur in nome della transizione ecologica – stanno di fatto cancellando ettari di suolo agricolo fertile. Laddove c’erano colture e filari, oggi si estendono campi inerti, che oltre a sottrarre spazio all’agricoltura, contribuiscono a creare isole di calore, amplificando gli effetti delle alte temperature. Le distese di pannelli riflettono la luce, riscaldano l’aria, impediscono la naturale traspirazione del suolo. Dove prima l’ombra degli alberi mitigava il clima, oggi domina l’asfalto energetico.
“La siccità non è solo figlia della mancanza di piogge – denunciano i rappresentanti locali del mondo agricolo – ma anche della scomparsa progressiva di alberature, filari e sistemi naturali di ritenzione dell’acqua. Il terreno cementificato o coperto da pannelli non trattiene più l’umidità. Serve una svolta immediata”.
Un piano regionale per acqua, agricoltura e clima
Per questo oggi, dai territori di Montalto e Pescia Romana, si chiede a gran voce alla Regione Lazio di adottare misure urgenti, concrete e strutturali, ispirandosi a quanto già avviato in Toscana. Le proposte sono chiare:
- un bando straordinario per il recupero e la creazione di invasi agricoli aziendali, piccoli laghi capaci di immagazzinare acqua nei mesi piovosi e salvarne i raccolti in estate;
- contributi fino all’85% per realizzare o modernizzare impianti irrigui efficienti;
- accesso diretto e semplificato ai fondi del PNRR destinati all’agricoltura;
- istituzione di una cabina di regia permanente sull’emergenza climatica in agricoltura, con il coinvolgimento di agricoltori, tecnici, Comuni e associazioni di categoria;
- un impegno forte e verificabile da parte di consiglieri regionali, parlamentari e rappresentanti europei, perché l’agricoltura torni a essere priorità.
Piantare alberi è un atto politico
La crisi climatica non si affronta con pannelli e promesse, ma con azioni tangibili: riforestazione agricola, siepi multifunzionali, agroforestazione, rinaturalizzazione delle aree marginali. Invertire la tendenza è possibile. È necessario. Occorre un cambio di paradigma: la vera energia rinnovabile è quella che nutre. Non si può parlare di transizione ecologica se si distruggono le basi della sovranità alimentare.
“O si sta con la terra, o contro”, è lo slogan che oggi circola tra agricoltori, piccoli produttori e allevatori. Una frase che è diventata grido di resistenza e di identità per chi ancora crede che il futuro non possa fare a meno di chi coltiva. La speranza è che la politica raccolga l’appello. Prima che anche la speranza marcisca sotto il sole.
