Tarquinia, sessanta anni fa l’addio a Vincenzo Cardarelli

vincenzo Cardarelli

18 giugno 1959: esattamente 60 anni fa moriva a Roma Vincenzo Cardarelli, nato 72 anni prima a Corneto Tarquinia.

Sessanta anni fa, quindi, moriva la personalità più illustre della città tirrenica: lo ricordiamo con un estratto di un pezzo di Anna Alfieri, “Le stagioni del cuore”, pubblicato nel 2012, che affondando le proprie radici nei ricordi di Anna e nei suoi appunti per la versione cartacea del giornale propone un inusuale racconto del giorni in cui la città salutò per l’ultima volta il poeta.

L’orazione funebre in omaggio a Vincenzo Cardarelli fu pronunciata il 20 giugno 1959 da Trieste Valdi in piedi sulla loggetta prospiciente il portone di Palazzo Mariani in Piazza Matteotti. Quando la cerimonia fu sul punto di terminare, mio padre, mia madre ed io, credendo di precedere chissà quale flusso di folla, ci affrettammo a raggiungere la via del cimitero per dare l’ultimo saluto al poeta e ci fermammo davanti a Villa Tarantola. Ma lì, stralunati dal caldo, unici esseri umani in un luogo che avevamo immaginato fresco e traboccante di gente, assistemmo ad una scena surreale. Mentre il sole realmente a picco infiammava l’aria e faceva tremolare la campagna sulla quale, per dirla con il poeta, “incombeva il silenzio delle civiltà tramontate”, vedemmo giungere, come scivolando sull’asfalto che per la calura sembrava bagnato, il carro funebre seguito solamente da due persone che procedevano a piedi, una tutta bianca e l’altra tutta nera. Erano Mario Soldati, scrittore e regista, vestito di lino candido con un Panama chiaro sulla testa e, in scenografico contrasto, la scrittrice Flora Volpini completamente in lutto. Sì, due sole persone, sperdute in quel luogo immenso, disperato, sopraffatto da una calura infernale, due viandanti sconsolati e affannati che, riconoscendo in noi gli unici tre tarquiniesi allineati sul ciglio della strada per dare l’addio ad un altero cornetano brontolone e sublime, ci salutarono con un piccolo cenno della testa. Un piccolo strano cenno che, chissà per quale ragione, ricambiammo con un po’ di imbarazzo.