Tra invettive, silenzi e strategie: cronache da un consiglio che non ha cambiato niente

Comune di Tarquinia palazzo comunale torre orologio campanone(s.t.) Alla fine il consiglio comunale a Tarquinia sulle dimissioni del sindaco è andato esattamente come pronosticato da chi ha un po’ di esperienza della vita politica cittadina: una breve vetrina di dichiarazioni – per lo più dalla minoranza – ma, nella sostanza, senza che nulla sia accaduto. L’attesa cresciuta in città, in fondo, non ha portato a notizie certe: il sindaco resta dimissionario sino al prossimo 23 settembre e, anche se sempre minori appaiono le possibilità di ricompattamento e ripensamento, Tarquinia vive la stessa esatta condizione di attesa di ieri, quella avviatasi con le dimissioni del 3 settembre.

Non fosse per qualche battibecco – Ranucci molto deciso nell’intervento, con la replica rabbiosa di Serafini su tutti per alcuni termini usati – e per il sorprendente diniego iniziale di Marco Bordi alle riprese video, la seduta avrebbe ricalcato il classico modello di un’opposizione che arringa – stavolta anche avvantaggiata dall’assist della lettera aperta del sindaco contro i suoi stessi scudieri – ed una maggioranza che subisce in silenzio, affidandosi ad un documento congiunto letto da Federica Guiducci che prova a tenere aperta la porta della “reunion” vincolandola alla realizzazione di alcuni punti programmatici, dalle situazioni di San Giorgio e Sant’Agostino alla zonizzazione acustica, passando per alcuni bandi in scadenza per l’ottenimento di finanziamenti. La verità, però, è che la maniglia di quella porta è in mano all’unica persona ieri assente fisicamente, ma più che presente con la firma apposta sotto alle dimissioni e le successive invettive affidate alla stampa: il sindaco Pietro Mencarini.

Il quale, di fatto, dopo una presa di posizione così decisa – ed anche alla luce delle difficoltà fisiche contro cui sta combattendo in questi mesi – pare avere poche strade a disposizione per scegliere il futuro politico suo e di questa amministrazione. Se, infatti, accettasse di ripartire con la stessa squadra – pur dichiaratasi disponibile, fiduciosa e compatta come un gruppo di scolaretti dopo una marachella pronti a tutto per evitare la punizione -, sarebbe lui stesso a fare retromarcia, ma i toni usati nei giorni scorsi paiono indicare questa ipotesi come assolutamente impercorribile.

Secondo alcuni, infatti, l’unica condizione che il primo cittadino potrebbe contemplare per ragionare su una prosecuzione dell’esperienza amministrativa è politicamente “sanguinosissima” e comporterebbe – almeno così pare – le dimissioni degli assessori Manuel Catini e Pietro Serafini: di fatto, i due leader dei movimenti che lo hanno sostenuto nella corsa a sindaco, nonchè i due uomini più votati in termini di preferenze, finirebbero senza alcun ruolo politico almeno sino alle prossime elezioni. Una resa, insomma, incondizionata e quasi totale, sia personale che dei rispettivi gruppi politici, a conferma assoluta della voglia di proseguire l’esperienza amministrativa ad ogni costo. Addirittura, Mencarini avrebbe rifiutato persino l’azzeramento dell’attuale giunta – pare proposto nei giorni scorsi – indicando quella come unica soluzione su cui ragionare.

Se fosse vero, come andrebbe letto tutto questo? Da un lato, si potrebbe ipotizzare il desiderio del sindaco di chiudere del tutto questa parentesi, imponendo ai suoi un prezzo politico troppo salato, durissimo e quesi impossibile da accettare. Dall’altro, viene da chiedersi se la maggioranza, davvero vogliosa di proseguire, abbia la forza per “andare a vedere” – per dirla in gergo pokeristico – il rilancio del sindaco e spingerlo a girare le proprie carte, all’all in, anzi al dentro o fuori tutti.

Di incredibile, a undici giorni dalle dimissioni ed a nove dalla loro possibile efficacia, c’è che si debba procedere per sentito dire, ipotesi e interpretazioni. Di certo, invece, ci sono solo le scadenze. Ma se oggi dovessi scommettere un euro, direi che, se il presidente del consiglio ieri ha chiuso salutando e ringraziando tutti, come tipico della fine di un ciclo, lo giocherei sull’arrivo a brevissimo di un commissario. A meno che, quello di Bergonzini, più che un pronostico fosse un auspicio.