Re Tarquinio e il Divino Bastardo

di Anna Alfieri

Un bel giorno del 1963, Titta Marini salì gaiamente le scale del Campidoglio per essere incoronato con il Lauro Tiberino, in qualità di grande poeta dialettale. Ma, al momento di venire – come diceva lui – incampidogliato, inaspettatamente si commosse e da buon tarquiniese non resistette alla patriottica tentazione di pronunciare davanti alle massime autorità capitoline, le seguenti e precise parole: quanno un etrusco disgrazziatamente / s’a ritrovava un fijo deficente / te lo sbatteva a Roma pe’ fa’ el re. Ed aveva ragione perché, molti e molti secoli prima, un certo Luchmon, etrusco ricchissimo ma “imperfetto” perché aveva un po’ di sangue greco nelle vene, venne realmente sbattuto da Tarquinia a Roma pe’ fa’ el re con il nome di Lucio Tarquinio Prisco: Lucio (Luchmon) Tarquinio (il tarquiniese) Prisco, perché il primo di tutti gli altri tarquiniesi che in pochi decenni trasformarono il selvatico villaggio fondato da Romolo in una città ormai predisposta a conquistare il mondo. Inoltre, per quanto riguarda il luogo nel quale Titta venne incampidodigliato, fu proprio lui, Lucio Tarquinio, a modificare con un’ardita opera ingegneristica, la struttura impervia e aguzza del colle capitolino ed a terrazzarla per porvi le fondamenta di un grande tempio dedicato a Giove ottimo e massimo. Nume supremo che, venerato  sotto forma di un’arcaica ascia di selce dai rozzi romani, il nostro antico concittadino fece invece rappresentare nell’aspetto umano e regale di una statua di terracotta policroma fatta a sua perfetta somiglianza, in modo che, a conclusione dei suoi molti trionfi militari, potesse inchinarsi solo davanti all’immagine di se stesso.

Nel 578 a.C., Re Tarquinio venne misteriosamente ucciso nel segreto della sua reggia e il suo successore fu l’enigmatico Servio Tullio: un grande sovrano illuminato e riformatore che, purtroppo, la storia non ha mai considerato un tarquiniese, identificandolo invece, con nostro disappunto, nel regicida Macstarna proveniente da Vulci, luogo a noi estraneo e ora perfino turisticamente concorrenziale, situato tra Montalto di Castro e Canino. Recentemente, però, ci è giunta una lieta novella, sotto forma di un vero e proprio scoop storico: Servio Tullio, sì anche Servio Tullio, fu un autentico Tarquinio che però, per ragioni di stato, regnò nascondendo sempre la sua vera identità. Il latore di questa notizia che rasserena i più sensibili di noi, è Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali e titolare della cattedra di archeologia classica alla “Sapienza” di Roma, il quale – dopo aver scandagliato gli strati più profondi e misteriosi del Foro romano e del Palatino individuando le strade, le dimore e perfino le stanze in cui abitarono i Tarquini – nello scorso mese di marzo ha pubblicato un libro rivelatore: Re Tarquinio e il divino bastardo. Storia della dinastia segreta che rifondò Roma. La dinastia  rifondatrice di Roma è, ovviamente, quella dei tarquiniesi che, segretamente incardinata proprio sulla strategica ambivalenza di Servio Tullio, collegò tra loro, con sicuri vincoli di sangue e di potere, Tarquinio Prisco, Servio Tullio in persona, Tarquinio il Superbo, che furono re e, via via, Tarquinio Collatino e Junio (Tarquinio) Bruto che invece fondarono la Repubblica, gloria e vanto dell’intera storia romana. Uomini intelligentissimi, intraprendenti e carismatici come solo gli Etruschi di Tarquinia potevano essere, e tutti intimamente convinti che le imprese politiche eccezionali andassero perseguite con ogni mezzo lecito ed illecito, ricorrendo ad ogni tipo di inganno e perfino ad ogni tipo di delitto. Una pragmatica spregiudicatezza dalla quale scaturirono le primordiali scintille della civiltà romana che, per secoli, conformò il mondo occidentale e che in piccolissima parte ancora conforma il nostro vivere quotidiano.

Ma – spiega Carandini – nulla di quanto accadde in quei tempi si sarebbe svolto così come tarquiniesemente si svolse se, proprio all’estremo declinare del VII secolo, a Roma non si fosse verificato un evento straordinario, apparentemente miracoloso. Accadde infatti che tra le fiamme del focolare di Re Tarquinio, in un freddo giorno d’inverno, inaspettatamente si materializzò un fallo procreatore, cioè un divino membro virile che, sprigionando divine faville, rese incinta Ocresia, un’ancella seduta lì a riscaldarsi. Il frutto di questo magico concepimento fu proprio Servio Tullio, un fanciullo dotato di ogni perfezione che, umilmente chiamato “Servio” perché nato dal grembo di una “serva”, venne tuttavia allevato come un principe di sangue reale in quanto figlio di un lampo di fuoco. Uno strano e cangiante principe-servitore che di sera, vestito solo di una coroncina di erba, porgeva le vivande agli ospiti del re cantando con voce di sovrumana dolcezza, e di giorno si esercitava all’uso delle armi, forte come un leone, guardingo come un’aquila, affilato come una lama a doppio taglio. Un mimetico serpente nascosto nell’ombra che, al momento prestabilito, cioè alla morte di re Tarquinio, fece esattamente ciò che sapeva di dover fare: in nome di Tarquinia si avventò sul trono etrusco di Roma prima di chiunque altro e si impadronì del potere come se solo per questo fosse stato generato. Infatti, e qui Carandini rivela a nostro favore una verità tenuta nascosta per millenni, Servio Tullio, il “divino bastardo”, era in realtà il figlio naturale e segretissimo di Lucio Tarquinio Prisco e di Ocresia, sua obbediente complice politica. Non, perciò, il figlio del fuoco, e nemmeno il frutto casuale e indesiderato di una senile dissolutezza regale, ma un vero e proprio “dispositivo genealogico” lucidamente progettato, consapevolmente concepito e appositamente addestrato al solo  e preciso scopo di attuare un piano storico di inimmaginabile ed inconfessabile audacia: la costituzione di una dinastia tarquiniese a Roma, città-stato ferocemente antidinastica, dove a nessun figlio legittimo e riconosciuto di un re, nemmeno al figlio di Romolo, era mai stato permesso di salire sul trono del padre. Un tabù che Lucio Tarquinio infranse da par suo, procreando in segreto un suo diretto successore di magnifico sangue tarquiniese, spacciandolo però per un Tullio qualsiasi, figlio di una qualsiasi servetta freddolosa alla quale piaceva  giocare con il fuoco.

E Macstarna da Vulci? Ebbene, per quanto ciò possa sembrare incredibile, Servio Tullio, più spregiudicato di Re Tarquinio suo padre, e più astuto del multiforme Ulisse, era “anche” Macstarna e proveniva “anche” da Vulci. Ma questa è una storia complicatissima, grondante di antico sangue nostrano, che forse (forse!) racconterò un’altra volta, se mai riuscirò a farlo con un po’ di chiarezza.