8 giugno 1944: la Battaglia del Mignone

Riproponiamo un pezzo preziosissimo di Anna Alfieri, già proposto su queste pagine nel 2013, per riscoprire un pezzo di storia di Tarquinia

Foto di Veronika Valdova: https://www.pexels.com/it-it/foto/cimitero-del-d-day-930711/

di Anna Alfieri

Credevo che fosse un falso ricordo, una lontana suggestione infantile. Invece quell’ordinato cimitero di guerra, connotato da mille e più croci bianche allineate in varie file su un campo verdissimo situato a ridosso del nostro pacifico cimitero paesano in vista del mare, è esistito davvero. Ed era un luogo speciale, a suo modo pietoso, perché – come mi dicono quei tarquiniesi che ricordano tutto – conteneva non solo i corpi dei soldati americani, ma anche quelli dei soldati tedeschi caduti nella nostra zona durante la primavera del ’44.

In più, ora, so per certo che quel cimitero campagnolo raccolse le spoglie di tutti i ragazzi, americani e tedeschi, che l’8 giugno di quell’anno fatale si scontrarono e si uccisero a vicenda presso il fiume Mignone, in una battaglia improvvisa e breve, ma durissima e molto cruenta.

Ad aprire il fuoco a sorpresa fu un reparto delle retroguardie della Wermacht che, travolta il 18 maggio a Cassino, si stava ritirando faticosamente verso il nord. Ragazzi giovanissimi, alcuni dei quali non ancora diciottenni, accampati nelle terre del Mignone non lontane dal casale di Dorindo Proli in località “San Vincenzo”, e destinati ad immolarsi in due contemporanee missioni di guerra disperate e consapevolmente suicide: quella di rallentare la marcia della V Armata americana del Generale Clark, che quattro giorni prima aveva attraversato trionfalmente Roma e che ormai si trovava a Civitavecchia, e quella di creare e mantenere “a tutti i costi” una distanza di sicurezza tra le avanguardie degli Alleati avanzanti e le retrovie germaniche del Generale Kesselring che tentava di raggiungere al più presto l’Appennino Tosco-Emiliano per ricompattare le sue forze sulla Linea Gotica.

A cadere sotto i colpi improvvisi dei tedeschi furono gli uomini della 34ª Red Bull Infantry Division che attraversarono per primi il fiume e che reagirono violentemente e perfino in modo feroce.

Ciò nonostante, alla fine della battaglia, le vittime statunitensi – forse più di mille – furono in numero molto ma molto superiore a quello delle truppe germaniche. Eppure furono proprio i tedeschi a subire la sconfitta totale e definitiva, perché non indietreggiarono di un passo e vennero travolti dalla immane potenza dell’Armata alleata che li uccise “tutti”.

Sì, proprio tutti e trecentoventicinque, compreso il leggendario soldato rimasto impresso nella memoria collettiva tarquiniese perché, ritrovatosi isolato a nord del Mignone e precisamente alla Chiusa del Piano, cioè al nostro Bivio per il mare, resistette a lungo alla mostruosa pressione dei mezzi corazzati di Clark, fino ad esserne letteralmente disintegrato. Di lui, infatti, – come mi raccontano ancora molte persone – rimase solo l’elmetto che qualcuno, più tardi, depose su una croce. Una croce solitaria e un elmetto un po’ commovente che giù al Piano rimasero ben visibili, intatti e perfino rispettati fin quasi ai nostri giorni.

Se quella del soldatino tedesco che da solo sfidò l’Armata più potente che il mondo avesse mai visto è forse una leggenda metropolitana, la storia vera e documentata racconta che Tarquinia venne liberata il 9 giugno 1944, giorno successivo alla battaglia, e che i primi ad entrare in città furono proprio i Red Bull della 34esima Infantry Division, che quella battaglia sul Mignone l’avevano subita e violentemente combattuta.

Dice anche, la storia, che furono proprio loro, i Red Bull, a raccogliere sul campo i corpi dei vinti e dei vincitori. Invece, obbligati a seppellire i caduti nel nostro cimitero di guerra che guardava il mare furono i fascisti tarquiniesi più compromessi col passato regime, controllati a vista dai partigiani locali che, a liberazione appena appena avvenuta, si erano affrettati ad arrestare i loro vecchi avversari ormai sconfitti e a rinchiuderli a Palazzo Bruschi in attesa di giudizio.