Celebrati nel Duomo di Tarquinia i 250 anni delle Monache Passioniste

di Tiziano Torresi

3 maggio 1771: nel Duomo di Tarquinia si compie la vestizione delle monache del primo monastero passionista femminile al mondo, unico fondato da San Paolo della Croce. In quel giorno Maria Crocifissa Costantini lascia dopo quarant’anni di vita claustrale il monastero benedettino tarquiniese di Santa Lucia, per il quale – si legge nelle fonti – era stata «esempio, delizia e consolazione» e si unisce a undici nuove sorelle, per creare un istituto religioso «proporzionato alla sua singolare e ardente devozione». Tutte e dodici salgono i gradini dell’altare maggiore del Duomo per lasciare gli abiti secolari e vestire quelli religiosi. Due padri passionisti sorreggono in aria sopra di esse un lungo e alto velo di seta bianca per sottrarre allo sguardo dell’assemblea liturgica quel momento spirituale. Poi «in una comparsa dilettevole, tenera e devota, mostrano al popolo le novelle spose di Gesù». Dopo il canto del Veni Creator, ogni monaca rinuncia al suo nome e assume quello della Passione. Ognuna scende sotto i gradini del coro, viene intonato il Te Deum e quindi viene cantata la Messa, «con violini e flauti».

Il concorso di popolo, non solo di Tarquinia, è talmente grande che, per il rischio di tumulti, «sono posti fuori e dentro la chiesa, soldati in buon numero con baionetta in canna». Tutto però si svolge in una «quiete mirabile». Finita la messa si forma una grandissima processione con le novelle monache, le confraternite, il clero, i padri passionisti, le magistrature cittadine, il baldacchino con il santissimo sacramento. Le strade di Tarquinia sono cosparse di fiori, i balconi e le finestre guarnite di superbi drappi e damaschi. Il corteo giunge al monastero e, dopo la benedizione eucaristica, le dodici monache varcano, per sempre, la soglia della clausura. In quel momento di emozione – concludono le fonti – non c’è occhio che sia rimasto asciutto.

Due secoli e mezzo dopo quel giorno memorabile il Vescovo Gianrico Ruzza, insieme a numerosi presbiteri e padri passionisti giunti da tutta Italia, ha presieduto una solenne eucaristia nello stesso Duomo di Tarquinia, in ringraziamento a Dio per i frutti di grazia che le passioniste hanno portato a Tarquinia, alla Diocesi e alla Chiesa intera. «Come allora – ha detto il vescovo nell’omelia – c’è in tutti noi una grande commozione per il piccolo germoglio fiorito nella nostra Tarquinia». E, rivolto alle monache passioniste, presenti in via eccezionale al rito, ha detto: «Voi siete ancora oggi un riferimento essenziale, un vanto per questa città dalle antiche tradizioni, siete una presenza dolce, mite e forte per il vostro impegno, perché ci ricordate il primato assoluto di Dio nella vita». La paradossale unione che sussiste tra missione e contemplazione è stato il cuore della riflessione di Ruzza: «La forza, l’immediatezza, la radicalità del Vangelo, che urge dentro, che non ammette chiaroscuri: è questo il messaggio che ci viene dall’esperienza monastica. Un amore per la vita, contemplato nella Passione di Cristo, atto supremo d’amore, che ha saputo farsi presente nella storia, nelle ferite del tempo. Il vostro stare continuo dinanzi al mistero di Dio crocifisso aiuta a capire la vita dell’uomo, e in questo modo la vostra esistenza nascosta diventa ogni giorno uno specchio della immolazione di Gesù». Il vescovo ha quindi ricordato come la vita claustrale, incomprensibile per il mondo, sia un segno di contraddizione che rivela come non ci sia azione apostolica, diaconia o annuncio senza preghiera. Non è mancato un pregnante richiamo al cammino sinodale che sta vivendo la Diocesi: «Il Monastero è casa dell’ascolto. Quante suppliche, preghiere, confidenze hanno attraversato le sue grate! Quanto amore è fluito in quelle conversazioni, e si è trasformato nella preghiera che guarisce il mondo! Sia questo un insegnamento per la nostra Chiesa in cammino, perché, senza mai distogliere lo sguardo da cuore trafitto d’amore del Crocifisso, sappia sempre porsi in ascolto degli uomini e delle donne del nostro tempo».