The day after tomorrow: secondo gli studiosi non sarebbe solo fantascienza

di Donatella Cea

In un periodo di grande dibatto (dovuto anche al forte scetticismo da parte del neo presidente statunitense Trump) riguardo la reale esistenza di cambiamenti climatici, per cui molti scienziati sostengono che molti paesi rischiano la distruzione legata ad esempio all’innalzamento delle acque o alla siccità, uno studio pubblicato lo scorso 15 febbraio 2017 sulla rivista Nature Communications rimescola le carte e presenta uno scenario anche peggiore di quello aspettato dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC).

Il lavoro di Sgubin e dei suoi colleghi dell’Università di Bordeaux e di Southampton tratta l’effetto del riscaldamento globale sulla corrente del Golfo e il suo effetto sul clima di tutti i paesi del Nord Atlantico. L’aumento continuo della temperatura potrebbe causare la brusca interruzione di questa corrente. Tale scenario, dipinto in maniera apocalittica da un celebre colossal holliwoodiano The Day After Tomorrow (L’alba del giorno dopo) del 2004, risulta oggi essere molto attuale. Infatti la situazione potrebbe risultare anche peggiore di quanto atteso dalla commissione dell’IPCC, la quale non solo considera remota questa eventualità nell’immediato, ma anche nei prossimi decenni.

La corrente del Golfo e la corrente Nord Atlantica sono delle forti correnti oceaniche, componenti della corrente termoalina, ovvero che si creano per la differenza di densità dell’acqua. La densità è determinata dalla temperatura (termo-) e dalla salinità (-alina). Questo fa sì che a latitudini maggiori, dove la densità è maggiore, l’acqua tende a sprofondare; mentre all’equatore l’acqua di fondo diminuisce la sua densità e nel risalire contribuisce a portare in superficie alcuni componenti minerali e favorisce la produttività biologica.

Un altro fondamentale aspetto di queste correnti è che consentono di avere un clima mite anche a latitudini che altrimenti prevederebbero un clima molto più rigido. Una sua interruzione, dovuta ad esempio ad un maggiore apporto di acqua dolce dovuto al disgelo delle calotte polari, effetto principale del tanto temuto surriscaldamento globale, causerebbe un drastica diminuzione delle temperature in tutti i paesi che si affacciano sul Nord Atlantico, che dovrebbero dire addio al loro clima temperato.

Nel suo ultimo rapporto, a seguito dell’analisi di 40 modelli climatici, l’IPCC scongiura un pericolo immediato dovuto all’interruzione di tale corrente. Tuttavia, il gruppo guidato da Sgubin sostiene che ci sia il 50% di probabilità che un raffreddamento improvviso avvenga entro il 2100. La differenza sta nel fatto che nel rianalizzare i modelli, Sgubin rivaluta l’effetto della totale cessazione della corrente nel mare del Labrador, su 7 dei 40 modelli analizzati. In soli dieci anni, infatti, l’assenza di questa corrente provocherebbe la diminuzione della temperatura superficiale del mare tra i 2 e i 3°C. Se queste conclusioni venissero confermate da ulteriori studi, l’IPCC sarà costretto a rivedere i suoi calcoli e a presentare, nel più breve tempo possibile, un nuovo piano per fronteggiare i cambiamenti climatici, molto più ambizioso di quello presentato a Parigi lo scorso anno e che già da molti era stato considerato un notevole passo in avanti.