#extraconfine – Fabrizio, a Bali da trent’anni: “Merito della curiosità e della voglia di vedere cose nuove”

extraconfine è una nuova rubrica de lextra.news che cerca, spera, sogna di raccontare le storie di un po’ di italiani sparsi per il mondo: partendo – come è partita l’avventura giornalistica del sito – da Tarquinia ed andando a caccia di belle realtà da condividere. Con una regola: ad ogni protagonista il compito di indicare – come in una catena – il nome di un’altra persona extraconfine, di un’altra storia che meriti di essere raccontata.

Qui il link per l’archivio delle storie

“Mi sento Tarquiniese al 100%, con tanto di calamita con i cavalli alati sul frigorifero e detti nostrani che mi sono portato sempre dietro: alcuni li uso in indonesiano traducendoli dal tarquiniese e Wayan ride come un pazzo”. Fabrizio Alessi vive a Bali, in Indonesia, da ormai circa trent’anni: eppure alla domanda se si senta più italiano o indonesiano non ha alcun dubbio.

“I Balinesi – ci spiega – vivono una realtà molto diversa dalla nostra: la religione, per loro, è un modo per socializzare, le cerimonie induiste che si svolgono frequentemente e durano per diversi giorni sono occasioni per stare insieme. I giovani si innamorano, i bambini giocano, e le famiglie si incontrano in armonia: è durante le cerimonie che la vita accade a Bali. Per uno straniero è difficile integrarsi in questo tipo di situazione: chi si sposa con una Balinese di solito non regge il clima sociale delle cerimonie, è una cosa che appartiene esclusivamente a loro, anche se le porte sono sempre aperte e sono felicissimi di averti vicino. Rimane tuttavia una cultura molto lontana dalla nostra. A partire dal razzismo, che credo proprio non conoscano”.

Cosa faccia ora, Fabrizio, all’altro capo del mondo è una storia che si lega direttamente al percorso seguito dalla sua vita, quando da ragazzo iniziò la sua scoperta del mondo.

“Oggi – ci racconta, raccontandosi – dedico molte energie alla fotografia e alla musica. La fotografia era il mio sogno nel cassetto da giovane, quando ero povero e fu anche il principale motivo del mio primo viaggio in Messico e Guatemala. Al ritorno, mi sembra fosse 1988, riuscii a vendere un reportage sui Lacandones, una tribù messicana, ma con il ricavato non mi pagai nemmeno lo sviluppo dei rullini. Ma è con l’argento che portai dal Messico e le stoffe degli indios del Guatemala che iniziò tutto, grazie anche e soprattutto ai miei amici, primi clienti”.

“Inizialmente facevo avanti e indietro: – continua raccontando la sua storia, umana e professionale – producevo vestiti e gioielli in Asia e Centro America importandoli in Italia, dove vendevo per strada, nei mercati e nelle fiere. Mia madre mi aiutava con i cartamodelli: disegnavamo abbigliamento casual usando stoffe etniche, è stato un grande successo. Poi ho importato mobili coloniali e arte tribale del Borneo indonesiano e della Papua Guinea, e dopo la metà degli anni ‘90 ho scelto di chiudere la partita iva e aprire una serie di negozi monomarca prima a Bali, poi in diverse metropoli indonesiane, lavorando con lino e cotone: insomma, dalla strada sono passato ad essere uno stilista”.

E così si arriva ad oggi: “Ho aperto una piccola fabbrica a Bali che produce tutt’ora abbigliamento per SKIN, la marca che ho creato nel 2001. Ma già me ne occupo molto meno, le cose vanno da sole, ho altri progetti in corso, come lo splendido resort che abbiamo costruito di sana pianta con altri due amici italiani, in stile giapponese, completamente in legno per rispettare l’ambiente circostante: le stanze si affacciano tutte su una risaia che cambia colori e aspetto in base alla stagione. Il resort lo manda avanti Seba, amico e socio del progetto Suarapura (il suono del tempio): è così che lo abbiamo chiamato”.

Ma – e ritorniamo al punto di partenza – Fabrizio non dimentica le passioni. “Adesso – spiega – uso la fotografia per scopi umanitari: ho avuto la fortuna di lavorare per World Medical Aid, un’organizzazione con base a Tarquinia che aiuta chiunque abbia bisogno nei posti più remoti del pianeta. Con loro sono stato in Congo: ho documentato il lavoro di una dottoressa Balinese che si occupa di malati di mente in Indonesia, che in molti casi per ignoranza nei confronti della malattia vengono incatenati o rinchiusi dalle stesse famiglie. Il mio lavoro è stato pubblicato da CNN e VICE America”.

Insomma, a muovere tutto, nella vita di Fabrizio, è stata una semplice parola, che è anche una gran molla: “La curiosità, una grande curiosità che per fortuna non mi ha mai abbandonato: la voglia di allargare la mente, di vedere cose nuove”. Ingredienti che gli hanno permesso di godersi una vita a 1000 all’ora, tra due differenti angoli di mondo. “Tarquinia – ricorda Fabrizio – negli anni ‘80 era viva e mi dispiaceva sempre lasciarla. Facevo parte di una band, i POZ, suonavo con i miei amici fraterni, andavamo a ballare allo Sperone, dove si ballava il liscio sino al venerdì e il sabato si trasformava in un locale per punk e rockers. Poi c’era il mare che pulsava di gente, discoteche, concerti, la Mela night club con le entraneuse straniere, Roma a due passi: insomma c’era da divertirsi”.

“E dall’altra parte Bali, il paradiso terrestre, con i balinesi che sorridono anche ai funerali, il caldo tropicale, il surf, la vita da beach boy, il caldo tutto l’anno, la lingua da imparare: tutte cose nuove che mi eccitavano. Ho vissuto sempre al massimo, come se non ci fosse un domani: avevo le energie e la voglia di esplorare di un ragazzo di vent’anni. Adesso vivo sempre a tutto gas, ma non piego più con il ginocchio: freno prima della curva”.

Il tempo passa, ma certe radici e certi legami restano. “Torno a Tarquinia una volta all’anno e da un paio di anni mi fermo per lunghi periodi. Mia moglie che è franzosa (non correggerlo!) adora Tarquinia, ed io con l’età e la lontananza me ne sono innamorato sempre di più: le sue strade deserte, specie di notte, il silenzio che fa da re, gli amici di sempre e il buon vino; la campagna, il profumo salmastro del mare, mi rigenerano. E quando tirerò le reti a bordo tornerò a casa, ne sono certo: qualche anno fa non lo avrei detto”. Anche perché qui ci sono cose e persone la cui assenza, a Bali, pesa eccome. “La cosa che più mi manca di Tarquinia e l’ostacolo più difficile che ho dovuto superare allontanandomi sono due domande che posso unire rispondendoti con un’unica parola: MAMMA. Sono stato sempre follemente innamorato di lei, e lasciarla ha combattuto fortemente con il mio desiderio di esplorare”.

Certo che, oggi, Tarquinia non è proprio quella che Fabrizio ricorda a metà anni ’80. “Immagino che per un ragazzo possa andare stretta, – concorda – ed è un vero peccato vedere tutti quei posti abbandonati che potrebbero trasformarsi in qualcosa di utile e bello per la comunità. Tarquinia ha grosse potenzialità, sarebbe pronta a dare lavoro a molti, se solo  riuscisse a sfruttare e pubblicizzare bene i suoi tesori. Credo che al paese manchi la fame: tutti bene o male hanno qualcosa in riserva che non spinge a fare di più. Ma è proprio la fame che ti rende pazzo e creativo, è dalla fame che nascono le idee migliori. Io avevo fame. E poi, di sicuro cambierei la mentalità disfattista e criticona tipica di noi paesani”.

Anche se la “genetica” cittadina ha trasmesso doti preziose. “Dal paese ho imparato a parlare chiaro e diretto, cosa già intrinseca nel mio carattere, accentuata dai nostri modi casarecci: umanità e rapporti sinceri con le persone, come anche capire con chi non perdere tempo, sono tutte cose acquisite in gioventù e portate dietro ovunque come valori importanti”. E ha lasciato segni indelebili in tema di gusti. “Più che il cibo, a dire il vero, a Bali mi manca il vino – rivela – che qua costa moltissimo ed è scadente. L’olio me lo porto da Tarquinia in tanica, cosi come il caffè; compriamo formaggi in quantità industriale, che quando mi dicono di aprire le valige alla dogana quasi mi vergogno. Qua troviamo pasta De Cecco ed ho un amico che fa pasta all’uovo di tutti i tipi. Ma anche qui ho scoperto cibi buoni: il Nasi Goreng – riso con verdure, pollo o gamberi  e uovo – dopo un po’ che non lo mangio mi manca, ma potrei vivere senza, ne sono sicuro!”

“C’è da dire – conclude Fabrizio sul tema – che Bali, essendo cosmopolita, offre ristoranti di tutti i tipi, quindi a due passi da casa posso mangiare sushi, o thailandese, o messicano, o francese (no, francese non mi piace!). Insomma, quando torno a Tarquinia mi manca molto la varietà che in Italia ancora non c’è, soprattutto nei piccoli centri”.

Infine, la domanda tipica della rubrica: c’è un italiano all’estero che vorresti farci intervistare?

“Molti amici della mia generazione hanno lasciato il paese – la risposta di Fabrizio – costruendo una vita all’estero: Gualty è uno chef di successo a NY, Leo è un top programmatore in Arabia Saudita, Massimo a Los Angeles ogni tanto sale sul Red Carpet, Max l’Orco della Cambogia ti fa mangiare i ravioli più buoni del sud est asiatico, Corrado vive in UK, suona blues e organizza mega eventi, Jeevan è in Birmania, ascolta la radio e sa sempre che tempo fa, il Gatto di cui recentemente ho perso notizie è in Australia e produce musica. Ne hai di gente da intervistare, ti lascio a loro”.

#extraconfine
Nome: Fabrizio
Dove vive: Bali (Indonesia)
Professione: Stilista, fotografo, proprietario di un resort
Distanza da casa: 11.742 km