Intervista a Giancane, dagli inizi al tour attuale. Con uno spoiler sul nuovo album!

Ph: Leone di Marcantonio

(s.t.) Premessa obbligatoria all’intervista: servono delle scuse perché Giancane ha suonato a Tarquinia ormai tre settimane fa e l’intervista la pubblichiamo ora. Ma l’estate è estate per tutti e a volte prendersela con calma fa fare le cose fatte meglio (ancora meglio se corredata dalle splendide foto di Leone Di Marcantonio).

Insomma, immaginate che questa chiacchierata sotto il palco sia stata fatta ieri – oppure che oggi sia il 21 luglio, vedete voi! – e scopriamo subito una cosa curiosa: i tanti bambini che erano sotto al palco di Fermento, il festival della birra a Tarquinia Lido, sono come immaginabile qualcosa di abbastanza inedito per Giancane e la band. “La cosa non mi capita mai. – confessa a fine concerto – Mi ha un po’ interdetto, non sapevo come fare. Però loro si sono divertiti, e noi pure: è stato diverso”. In fondo, alla truppa, la capacità di adattamento non manca: “Considera che ho suonato a un battesimo una volta, non sto scherzando: eravamo in due, Alessio il chitarrista (Lucchesi, ndr). E sì, ero già Giancane. Solo che chi mi aveva chiamato a suonare mi conosceva, i genitori e i parenti della battezanda non sapevano minimamente chi fossi!”

Se al battesimo – quello della bimba, non il suo! – Giancane già esisteva, viene da chiedersi che percorso è servito seguire per arrivare sui palchi di mezza Italia. “Con la musica ho iniziato a 14 anni e subito con la chitarra. – racconta Giancarlo – A dire il vero volevo fare il controfagotto, che nell’orchestra è una figura che serviva sempre e che pagavano di più, ma costava troppo, non ce li avevo e allora chitarra! Poi suono il piano, il basso e faccio i dischi degli altri, come fonico più che produttore. Che sono due professioni diverse. Il producer fa arte, la fonia invece è artigianato: tipo il falegname, devi mettere il microfono in un determinato modo per avere un determinato suono ed è fighissimo, ma ripeto sono due cose diverse. A me piace tantissimo, ho imparato tutto quello che so facendo questo mestiere, poi ho fatto anche l’altro lato. Con la voce invece ho cominciato tardi, praticamente da quando faccio Giancane, cioè dal 2013, quasi dieci anni fa”.

“Che poi Giancane non doveva nemmeno esistere: – continua – dovevo fare uscire un pezzo, l’ho fatto, ho fatto un concerto che doveva essere l’ultimo, poi però hanno continuato a chiamarmi…”. E cosa c’era già del Giancane che sentiamo in quel primo live? “C’era Vecchi di merda, Ciao sono Giancane e Vorrei essere te”.

Il modo spontaneo con cui la chiacchierata va avanti apre anche a qualche spoiler inatteso, già che di solito sono tutti molto gelosi nello svelare date di possibili uscite o titoli di cose future. E invece, alla domanda sull’attesa per il nuovo album, visto che l’ultimo è ormai datato 2017, “Marzo – risponde subito – più o meno è ufficiale”. Addirittura arriva una spifferata sul titolo: “Sì, è spoilerabile e sarà Sei in un paese meraviglioso. E se ci pensi, lo è oggi più che mai: mentre parliamo, solo nelle ultime settimane, sono successe cose importanti, che a loro volta non ci sorprendono nemmeno, pensa quanto siamo meravigliosi! E potremmo andare peggiorando, se possibile”.

Ascoltando l’album nuovo, quando uscirà, cosa sentiremo che è cambiato, più di tutto, in te e nella musica che fai? “Sono passati cinque anni, di cui due sono pesati come venti: sono invecchiato dentro di ventitré anni in pratica”. Cinque anni in cui è cambiata, tanto, anche la platea, che si è allargata esponenzialmente, ancora di più dopo il successo della colonna sonora di Strappati lungo i bordi. “Vero, la serie ha dato una mano e questo è da paura. Poi sono contento che sia capitato di fare questa cosa in un momento che, scusate la parola, era proprio del cazzo, in cui stavo dentro casa, anche dopo il lockdown, perché anche dopo la ripartenza ho faticato. E soprattutto non riuscivo a scrivere una parola, ma ho scritto una cifra di musica”.

Quindi in “Sei in un paese meraviglioso” non c’è niente creato o pensato in pandemia? “Beh, ci sarà il pezzo della sigla della serie, perché comunque è uscito in colonna sonora ma in realtà, nei programmi, faceva già parte del disco. Per quanto riguarda gli altri pezzi, come ti dicevo in periodo di pandemia ho scritto molto poco. Avevo fatto delle cose prima, che puntualmente ho buttato e ho riniziato a fare da zero. Poi, chiaro, non è che si perde tutto, magari qualche idea resta in testa, viene rivisitata. Ma l’album è tutta roba nuova”.

Sempre con un denominatore comune, almeno per chi ascolta: la facilità nel riconoscersi in quello che i testi raccontano. “Ci può stare, le vicissitudini di una generazione, in fondo, sono le stesse. Ma se anche è questo che funziona, è comunque qualcosa di non voluto: mi esce naturale, questo faccio e non ci sono sovrastrutture. Non penso che saprei fare altro o fare roba per finta. E sì, un buon 90% è roba autobiografica”.

Di certo, a funzionare è un’intesa spaziale con i ragazzi della band, che si percepisce sin dal primo minuto di ascolto sotto al palco. “Vero. Ci conosciamo da tanto, tanto tempo, proviamo molto poco ma suonano tanto, tanto bene. I pezzi alla fine sono sempre quelli, le cazzate in mezzo cambiano, a seconda della platea. E comunque, passando tutto il tempo che passiamo in questa “casa” – dice indicando il pulmino – , se non ci fossimo voluti bene, ci saremmo ammazzati dopo dieci minuti!”.

La casa mobile continuerà a girare l’Italia in tour sino all’11 settembre, provando a rimediare qualche giorno di relax tra una tappa e l’altra – “quello di oggi (ma per chi legge è sempre il 20 luglio, ndr) a Tarquinia è stato il primo giorno di mare che mi faccio” – ma godendosi la possibilità di risuonare live, dopo la sosta forzata. “E soprattutto senza gente seduta, ma di nuovo in piedi sotto al palco. Per come suoniamo noi è importantissimo”.

Un’ultima domanda rilancia pure la curiosità per l’album per cui dovremo aspettare la primavera: c’è tra tutti un pezzo a cui ti senti particolarmente legato? “La vita – dice dopo due secondi di riflessione – e poi uno del disco nuovo che uscirà, uno in particolare che non so se suonerò, perché mi fa strano, è diverso. E si capirà, ascoltandolo, perché è davvero diverso tutto: a me piace, e voglio metterlo nell’album perché piace a me. Poi da lì a farlo dal vivo, in un contesto giocoso, vedremo, ci si penserà”.