Marco Marzano, medico di Tarquinia all’ospedale di Brescia per aiutare i malati di Covid: “Non abbassiamo la guardia: il virus non è scomparso, solo tenuto sotto controllo”

“Si parla spesso di nemico invisibile in riferimento al Covid: ma soprattutto è stato un nemico che non si conosceva, che utilizzava armi non conosciute attaccando rapidamente su diversi fronti. Per cui nella prima fase ci ha colto di sorpresa, incapaci di trovare subito risposte adeguate. Oggi la situazione è migliorata, ma non dobbiamo abbassare la guardia o credere che il virus sia scomparso: è solo tenuto sotto controllo”. A parlare, raccontando la propria esperienza personale, è il dottor Marco Marzano, medico presso l’ospedale di Tarquinia reduce da tre settimane nel nosocomio di Brescia a supporto dei colleghi nelle cure ai pazienti affetti da coronavirus, ospite ieri della puntata di Piazza Digitale (sotto il video integrale dell’intervista?.

“Ho scelto di aderire a un bando della protezione civile nazionale denominato “Chiamata alle armi”, – spiega il dottor Marzano – termine che rende l’idea di quanto importante fosse per la protezione civile avere personale specialistico medico e infermieristico nelle zone in cui il contagio era ed è molto diffuso. Abbiamo risposto in 8000 medici in tutta Italia e la protezione civile ha creato contingenti di 100-150 persone da mandare nei posti con maggiore necessità di supporto. Io, in particolare, sono partito l’8 aprile con il terzo contingente, destinato a Brescia”.

“Lo scopo del bando era di dare supporto e consolidare esperienza nella lotta contro il virus – continua il medico – ma anche per dare il giusto riposo ai colleghi che avevano subito la prima, forte ondata dell’infezione. Quando chiedevamo loro come fosse stata, tutti si rattristavano e incupivano, entrando in una dimensione difficile da raccontare. In quei giorni, sono passati dal niente al tutto, come fosse stato acceso un interruttore: parliamo di ricoveri che arrivavano ogni quarto d’ora, per ventiquattro ore di fila, per intere settimane. Devo dire che ho conosciuto medici, ma anche specializzandi dell’Università, che non si sono mai risparmiati e hanno dimostrato un cuore grandissimo”.

“Oggi la situazione nettamente migliorata: ci sono ancora chiaramente pazienti ricoverati, ma si sta tentando di riportare i vari ospedali, che in quella zona sono tre, alla normalità, cioè a tornare a disporre di reparti non Covid. In totale i decessi in due mesi sono stati circa 2.500, che secondo una stima dell’Università di Brescia rappresenta il 197% in più rispetto al passato”.

Cosa ha permesso di invertire la tendenza? “Come dicevo, all’inizio non si conosceva nulla di questa infezione, quindi non si rispondeva in maniera adeguata. Poi si è iniziati a trovare l’impostazione terapeutica non ancora ottimale, ma quella che meglio aiuta a tirare fuori i pazienti dai sintomi gravi. Ora si utilizza un farmaco ancora in via sperimentale messo a disposizione gratuita dalla casa produttrice nelle aree più colpite e i pazienti che arrivano con uno stato grave dal punto di vista sintomatologico dopo la somministrazione lentamente ma progressivamente migliorano. Certo, non si guarisce in poche ore come un raffreddore, ma ci vogliono settimane. A questo va aggiunto che nel frattempo sono arrivati i presidi adatti per assistere la respirazione e la cura dei pazienti”.

Uno degli spettatori chiede al dottor Marzano se ha vissuto momenti di sconfroto, e lui racconta di come sia maturata la decisione di dare la propria disponibilità. “Ho aderito al bando di getto, senza pensarci: lavorando all’ospedale di Tarquinia che era in lockdown, e non potendo operare nell’ambito della mia specializzazione in chirurgia, ho preferito prestare la mia opera e aiutare quei colleghi nelle zone in maggiore difficolta. Subito dopo mi sono venuti i dubbi sul fatto che forse mi mettevo in una situazione più grande di me, ma ho scelto di proseguire e oggi sono contento di averlo fatto, soprattutto a livello personale. Lo sconforto, in realtà, l’ho trovato nei colleghi che erano lì, che avevano vissuto lo smarrimento nel vedere i pazienti morire, praticamente soffocati, quando ancora non c’era una terapia adeguata”.

“Ma da questa situazione si può uscire: – chiarisce il dottor Marzano, calcando la mano su un aspetto – bisogna essere prudenti e usare i presidi, che salvano molto. Seguendo le tecniche adottate nei reparti,ad esempio, solo due colleghi tra tutti noi sono risultati positivi, e si tratta di quelli che inizialmente hanno dovuto fronteggiare la prima ondata. Poi, applicando con rigore i criteri e utilizzando i presidi, tutti gli altri colleghi, noi compresi, siamo risultati negativi. Però non bisogna mai abbassare la guardia: il virus è una bestia violenta e pur se è vero che colpisce le fasce più anziane, un po’ tutti quanti siamo a rischio. Tra i pazienti ricordo un ragazzo di trentacinque anni”.

Qali gli aneddoti che ricorda con maggior intensità. “Il vedere la prima immagine TAC di un paziente covid positivo mi ha shoccato – confessa il dottore – un’immagine dal punto di vista radiologico impressionante, con tutti i polmoni coinvolti dalla malattia. Poi ho due ricordi quasi all’opposto: quello di una paziente di 98 anni che purtroppo non ha risposto alla terapia, e nonostante i tentativi non ha invertito la tendenza e l’abbiamo vista morire, e al contrario un’altra paziente anziana in cura lì da circa due mesi, progressivamente “svezzata” dall’erogatore di ossigeno e dimessa pochi giorni prima che andassi via per proseguire la sua quarantena a domicilio. Poi, chiaro, l’esperienza dal punto di vista umano mi resta dentro, la condivisione di principi con i colleghi partiti con me, la disponibilità dei quelli che ci hanno accolto”.

“Se potrò riportare l’esperienza all’ospedale di Tarquinia? Sì certo, se ce ne fosse bisogno certo. Ma devo dirvi che nel frattempo anche i colleghi di Tarquinia si sono prestati a cercare di risolvere i 1000 tipi di problemi che questa situazione crea, e sono colleghi collaudati, esperti, che hanno inquadrato il tipo di problema e cercano di risolverlo egregiamente. Ma certo che sì, ovviamente la mia esperienza è a supporto del loro tipo di lavoro”.

L’ultimo aspetto riguarda, di nuovo, i consigli e le raccomandazioni. “La paura è che si ritorni a vivere come prima, ma non si potrà fare a breve. L’invito è di mantenere alta la guardia, perché non è affatto inutile, anzi: cerchiamo di seguire e rispettare tutti i consigli che sentiamo ogni giorno in tv e che leggiamo ovunque. Questi sono i principi sani che dobbiamo continuare a osservare. Lo ripeto, l’espereinza in un reparto covid positivo, quello di pneumologia, mi conferma che osservare le norme ci permette di evitare il contagio. Per cui sì, riprendiamo le normali attività, ma manteniamo la guardia alta: il virus non è scomparso, è solo tenuto sotto controllo”.