#Regionali2018, Egidi: “Mai più la politica del piccolo favore, rimettiamo lo sviluppo al centro della Tuscia”

Riceviamo e pubblichiamo

“Molto è stato fatto dalla giunta Zingaretti in questi anni ma  siamo consapevoli che per prendere i voti bisogna raccontare la verità e essere umili nel dire che ci sono ancora un bel po’ di cose da fare e che questa provincia ha bisogno di ricominciare a discutere”.

Così, in una affollata sala del Mini Palace Hotel,  in un clima di festa, tra musica e fuoriprogramma con un live dello stesso Andrea Egidi, ieri sera il candidato Pd alle Regionali, ha incontrato simpatizzanti e amici per fare il punto della campagna elettorale, del suo impegno per la Tuscia.

“Vogliano tornare a far discutere di nuovo questa provincia delle questioni che riguardano il proprio futuro.  Chi si candida al consiglio regionale – ha detto Egidi – deve avere l’ambizione di mettere le energie migliori di questa terra tutte insieme intorno a un tavolo e ragionare, discutere, programmare. Questo non c’è stato in questi anni. C’è stato, al contrario, un “corpo a corpo”, come il medico di base che a uno per uno ha detto: “Che cosa ti serve? Vediamo se lo risolvo”. Ma lo sviluppo della Tuscia non va così. Il problema è come si gestiscono le questioni: in un rapporto esclusivo con il singolo imprenditore, la singola associazione o il singolo amministratore, mettendo in fila le questioni oppure se mettendo in piedi un sistema di progettualità?

Noi riteniamo che il nostro ruolo debba essere  di ascolto, di discussione, di cercare di dare soluzioni ma anche di rimettere in moto una valutazione complessiva di queste terre e fissare degli obiettivi”.

Egidi ha approfittato anche per togliersi qualche sassolino dalle scarpe: “Non tutti nel Partito Democratico immaginavano e ritenevano giusto che un pezzo del Pd che, in questi anni ha fatto una battaglia di rinnovamento,  di autonomia politica e culturale rispetto al  passato, dovesse sfociare nella candidatura alle Regionali. E’ singolare che in un primo momento venivamo raffigurati come un’esperienza che c’era, che si metteva in campo, ma quasi insignificante. Con la stessa intensità si è verificato da subito un atteggiamento abbastanza pesante da parte di chi non ci sostiene. Delle due l’una: o siamo insignificanti o ci si teme perché mettiamo in discussione equilibri consolidati”.