Scialoja al MACRO: vigore e ricerca nel Novecento italiano

di Francesco Rotatori

ii_ciclo_di_incontri_di_formazione_per_docenti_toti_scialoja_pittore_e_poeta_largeIl calore eccessivo di questi primi giorni di giugno impone a chiunque di rimanere al fresco e di non muoversi. Ma il nostro suggerimento è in questa sede di visitare una costruzione a poca distanza da Piazza Fiume, il Museo di Arte Contemporanea di Roma in via Nizza (meglio noto sotto la sigla MACRO).

A prescindere dall’attrattiva della refrigeratezza che il complesso fortunatamente offre, si presenta un’occasione per approfondire la conoscenza di una delle strutture che hanno rinnovato l’assetto urbanistico nel tessuto della capitale. L’edificio è infatti figlio di una serie di trasformazioni attuate dal Comune e affidate all’architetto Odile Decq a partire dal vecchio stabilimento in stile tardo Liberty della Birreria Peroni.

All’interno, nelle Sale Enel è attualmente in mostra la più importante retrospettiva dedicata a un vanto del Novecento romano e italiano, Toti Scialoja.

L’angar bianco che si apre di fronte agli occhi è lo spazio in cui si trova la crème dell’operato del maestro che per svariati anni è stato docente all’Accademia di Belle Arti di Roma, iniziatore, insieme ai suoi collaboratori e allievi, di un rinnovato approccio alla dimensione della tela dopo decenni di abbandono della manualità in favore della concettualità e del pensiero puro.

Le sue pennellate vigorose, cariche di colore che tuttavia si ammassano ondulate ritmicamente, costituiscono il leitmotiv della costruzione complessiva del capolavoro, e se vogliamo anche la stessa disposizione dei pannelli ne rievoca la sistematica asimmetria, fluida ma certa, come un ballo sincopato, un jazz insegnato e ammaestrato, una melodia assoggettata però a un insegnamento che permetta di discernere sentimento e ragione, atto e riflessione, appunto azione e pensiero.

urlLe sale vuote e rimbombanti diventano da asettici vani il letto migliore in cui far muovere l’allestimento espositivo, in un labirintico accesso che dalle tele degli ultimi anni passa poi in rassegna non solo la ricerca in fieri dall’espressionismo degli anni Quaranta alle Impronte dei Cinquanta al minimalismo cromatico dei Settanta, ma anche proponendo rimandi degli artisti che attorno alla figura di Scialoja hanno, volenti o nolenti, gravitato. E non sono personaggi secondari da ricercarsi in qualche specifico testo di storia dell’arte dedicato agli incompresi o ai dimenticati, ma spiccano Calder con una delle sue sculture mobili e interattive, un Burri piccolissimo ritagliato in un passepartout incorniciato che ne acuisce ancora di più la minimale presenza, un Fontana alla parete, le dolci composizioni “paleolitiche” di Melotti poste in vetrinetta…

Una variegata esibizione da valutare oculatamente ed esaminare con spirito storico-critico.