Si chiudono i quarti: passano Juberto e Ditirambo

Sino ad un minuto dalla fine era stata una grande serata, al Memorial: due partite tirate, quattro squadre che volevano vincere e non si sono risparmiate nel provare a farlo, non mollando mai sino all’ultimo secondo di ogni match. Una serata ricca di protagonisti di cui parlare, di episodi da esaltare, di belle giocate e parate decisive. Sino ad un minuto dalla fine.

L’episodio che ha chiuso questi quarti di finale – un’aggressione all’arbitro – ha in un attimo cancellato dalla testa di tutti i presenti ogni cosa successa prima, lasciando sconcerto, rabbia, amarezza, dispiacere ed una marea di riflessioni sul senso di comportamenti che, di sportivo, non hanno nulla. E questo a prescindere dalla particolare cornice che caratterizza – o, meglio, dovrebbe caratterizzare – il torneo che ricorda Fabrizio.

Al di là di tutto, delle riflessioni sulla civiltà, del rispetto ecc, che ognuno vive in proprio, mi viene da pensare che, in fin dei conti, quello che accade in situazioni simili è un’ingiustizia. Non è giusto, ad esempio, per Massimo Marzi, che mette in campo tre o quattro interventi da “Lillone” e spiega perché i Cugini di Juberto si giocheranno questo torneo sino alla fine; o per Dario Spirito e Marco Mazzacane, che segnano gol belli quanto importanti.

Non è giusto per i ragazzi di MaGiCar, cui manca mezza squadra eppure lottano come matti, guidati da William Battellocchi e Pasquale Ginestra, e restano in una partita da cui sembravano usciti più volte.

Non è giusto per Fabio Perugini, che per quasi tutta la partita è un fantasma e che – nel momento del bisogno – infila il tiro libero decisivo per la semifinale, o per Daniele Cecchelin, che un minuto prima aveva preso per i capelli un Ditirambo/Piazza Mercato che sembrava ormai fuori dal torneo.

Non è giusto, infine, per Renato Giordano, che para di nuovo tutto il parabile ed anche qualcosa in più, per Gianluca Celestini – che corre, segna ed è dappertutto – o per Marco Parmigiani, diciotto anni sulla carta d’identità ma cuore e testa, in campo, da giocatore vero.

Non è giusto per loro, e per molti altri protagonisti di una serata emozionante.