Consigli di cinema: le recensioni di Marco – Thunderbolts, 30 notti con il mio ex, Black Bag, Flight Risk

di Marco Poggi

“THUNDERBOLTS* – o THE NEW AVENGERS”

La Marvel Comics, sempre con l’aiuto della Disney, scodella il suo lungometraggio primaverile, del 2025, dopo il semi-deludente “CAPTAIN AMERICA THE BRAVE NEW WORLD”, scegliendo come soggetti una squadra di supereroi perdenti, denominata i Thunderbolts.

Nati da un’idea del fumettista Kurt Busiek e disegnati da Mark Bagley, i Thunderbolts negli anni’90 erano dei supercriminali, travestiti da supereroi, che comparivano in scena quando gli Avengers sembravano scomparsi dall’universo fumettistico Marvel. In realtà, era un piano ideato dal loro leader, il nazistoide mascherato barone Zemo, acerrimo nemico di Capitan America e degli Avengers, per trarre profitto dall’assenza dei veri eroi. Il film, diretto da Jake Schreier, si discosta da quella trama di oltre trent’anni fa, per prendere alcuni supereroi perdenti, visti nel film “BLACK WIDOW”, e nei serial TV “HAWKEYE” “FALCON AND THE WINTER SOLDIER” (disponibili tutti su Disney plus), introdurre un nuovo elemento, un nuovo boss (non il barone Zemo, ma l’ambigua contessa Valentina Allegro de Fontaine – in un’altra vita, un’agente dello “SHIELD”, nonché fidanzata del direttore, il colonnello Nick Fury, praticamente, era una buona -) e forse anche qualcos’altro.

Prendi la spia-assassina Yelena Belova, la sorella della prima Vedova Nera, falla incontrare con U.S. Agent (IL Capitan America di seconda fascia, licenziato perché ha ucciso un uomo a sangue freddo), Lady Ghost (una sorta di nemica/non nemica di Ant man), la sfregiata Taskmaster, capace di imitare tutti i poteri degli Avengers, Bucky Barnes, il noto Soldato d’Inverno e amico dei due Capitan America titolari, Alexi Shostakov, detto Red Guardian (sorta di versione russa di Capitan America e padre adottivo di Yelena) e lo stravagante e misterioso Bob, e riuniscili insieme in un bunker. Quella che dovrebbe essere un massacro fra eroi, orchestrato da Valentina de la Fontaine, diventa uno scalcagnato team di super-tipi (che sia una risposta Marvel alla “SUICIDE SQUAD”, della DC Comics?), dove a perdere la vita è solo uno di loro, mentre gli altri sopravvivono, si alleano e affrontando un nuovo supereroe, il biondo Sentry, che, in realtà è anche l’oscuro Void e diventando i… “New Avengers”, visto che quelli vecchi si sono sciolti.

Una trama che mette in evidenza dei Supermen in crisi depressiva, come se dovessero andare in seduta da un analista, perché per i Thunderbolts la vita non è bianca, o nera, ma grigia. Sono antieroi e persino assassini, sono manovrati da una donna che ricorda il Lex Luthor, di Superman, e affrontano un cattivo, Sentry/Void che si definisce un dio e che, come Christopher Reeve in “SUPERMAN  3”, si sdoppia in due, anche se dentro la propria testa. Sono rissosi, umani, comici a tratti, ma anche problematici e sono protagonisti di un film che non è certo un capolavoro, ma un più che discreto capitolo dei film Marvel. Fra i tanti attori messi in campo, emerge la bionda Yelena di Florence Pugh, ma occhio al Bob di Lewis Pullman (figlio di Bill Pullman di “INDIPENDENCE DAY”“CASPER” e di “BALLE SPAZIALI”), che ha pure lui una certa importanza.  Sebastian Stan riprende i panni e il braccio bionico di Bucky Barnes, associandosi a Wyatt Russull (figlio di Kurt Russell), che nei panni del Capitan America scartato ha un suo certo fascino, come anche il simpatico Red Guardian di David Harbour, o la machiavellica, ma divertente Valentina di Julia –Louise Dreyfus. Un po’ sottotono Taskmaster di Olga Kuryleko e la Lady Ghost di Hanna John-Kamen, però nell’insieme non ci si annoia, anzi.

Il film, che scali le classiche d’incassi, o meno (le somiglianze con il primo film degli Avengers si notano, non a caso “THUNBERBOLTS*” è anche conosciuto col titolo di “THE NEW AVENGERS”) è solo il preambolo di altri in arrivo in futuro, forse più importanti (i Fantastici 4 di luglio e gli imminenti Avengers 5 e 6, ad esempio), però riscatta un film da molti detestato (ma non da me), come “BLACK WIDOW”, del 2021, facendone una seconda parte vera e propria. Da vedere, anche perché risulta più divertente, vispo ed interessante (dei Supermen in crisi depressiva non si erano mai visti al cinema, non così!), del precedente film dell’MCU, “CAPTAIN AMERICA BRAVE NEW WORLD”.

30 NOTTI CON IL MIO EX

Bruno, un ex calciatore di serie C, un giorno viene chiamato dalla direttrice di un istituto psichiatrico, dove ha un colloquio circa la sua ex-moglie, Teresa, detta Terry, internata da anni a causa delle voci che sente dentro la testa. La direttrice gli comunica che Terry pare abbia superato il trauma che la portò in ospedale, ma prima di reintegrarla nella società, chiede a Bruno di ospitarla per 30 giorni nel suo appartamento. L’uomo è inizialmente titubante, ospitare a casa sua la sua ex, che è disturbata mentalmente, non le piace per nulla, ma, per amore della figlia adolescente e ribelle Emma, che vuole comunque riabbracciare la madre e passare del tempo con lei, alla fine cede e accetta. Saranno 30 giorni, però, che gli cambieranno la vita, e per sempre, perché ciò che crede un mondo sicuro (un lavoro in un’azienda, assieme all’ amico Paolo, e una relazione con Camilla, la donna che crede di amare) gli si sgretola giorno per giorno, perché Terry è ben lungi dall’essere guarita.

Stravagante commedia agrodolce, diretto da Guido Chiesa, che è un remake di un film spagnolo, del 2022, che mescola situazioni che sembrano prese da “QUALCUNO VOLO’ SUL NIDO DEL CUCULO”“QUATTRO PAZZI IN LIBERTA’” (un film semi-dimenticato film con Michael Keaton, del 1989, su presunti quattro malati di mente che escono fuori dall’istituto, per vedersi una partita di baseball), “LA FAMIGLIA ADDAMS” e persino “LA GUERRA DEI ROSES” (almeno, inizialmente). Edoardo Leo e Micaela Ramazzotti sono molto credibili, come Bruno e Terry, anche perché molto problematici. Se lui cerca, inutilmente la quiete nella sua casa e sul lavoro, lei un po’ di requie dalle voci che le frullano in testa. Fra vita impossibile, almeno all’apparenza, fidanzato della figlia, che lui detesta, e vicini che si lamentano (perché Terry o fa rumore di notte, collegandosi, col PC, con gli altri internati nell’istituto, a lei cari, o pittura le pareti, o addirittura le frantuma con il martello), si ricongiunge una strana famiglia che ha più punti in comune che divergenze. Se va a finire bene, o male, sta a voi scoprirlo, andando in sala.

Non metto in dubbio la bravura degli attori e del regista, ma qui ci troviamo di fronte a un altro remake, preso da altri paesi (tipo “BENVEUTI AL SUD”, che era il remake della commedia francese “GIU’ AL NORD”, o “I CESARONI”, che prende spunto da un serial spagnolo), dimenticandoci quasi di come eravamo geniali nel creare noi dei serial, o dei film 100% italiani (si pensi a “PAZZA FAMIGLIA”, con Enrico Montesano, che deve gestire ex-mogli, figli, suoceri e genitori, o al delizioso “CHIARA E GLI ALTRI”, con tre minorenni, che, su suggerimento dell’avvocato di famiglia, fanno venire in casa padre e madre divorziati, interpretati da Alessandro Haber e Ottavia Piccolo – già visti in quei ruoli in “DA GRANDE”, con Renato Pozzetto -, tre mesi ciascuno per un periodo di prova e dove saranno i figli a scegliere con chi stare – da una fatto di cronaca italiana di fine anni’80 -).

Comunque, da vedere, per gli interpreti, le schizofrenie improvvise, i simpatici disabili amici di Terry, a cui è legatissima e la voglia della bionda e un po’ folle, di far tacere le voci in testa tuffandosi in piscina, o inventandosi un lavoro stravagante.

“BLACK BAG – DOPPIO GIOCO”

Film di spionaggio, girato in Inghilterra, da Steven Soderbergh, che si avvale di un buon cast di supporto, come Michael Fassbender, Cate Blanchett, Naomie Harris (era miss Moneypenny negli ultimi due Bond movie, interpretati da Daniel Craig) e Pierce Brosnan (i cui trascorsi, da James Bond titolare, ci rimandano alle pellicole della seconda metà degli anni’90/inizio anni’2000), ma che si rifà allo schema de “LA TALPA”, di John Le Carré (c’è un traditore fra le spie in scena e lo si deve scoprire, indagando su un piccolo gruppo di sospetti), ai gialli di Agatha Christie e alla serie “THE AGENCY”, proprio interpretata dall’attore principale di questo film, il bravo Michael Fassbender.

Non ci si aspetti, quindi, salti mortali da palazzi, o esplosioni a raffica, o inseguimenti d’auto, o l’eroe che si salva, per un pelo, grazie ai marchingegni di un inventore stravagante, qui si tratta di spionaggio più realistico, dove l’unica cosa che non cambia rispetto a certi film d’azione, sono le location suggestive, in questo caso europee. All’agente George Woodhouse viene assegnato il compito di scoprire, nel giro di una settimana, chi sta vendendo dei dati, denominati “SEVERUS”, agli agenti russi e fra i sospettati, che sono tutti amici, c’è anche sua moglie Kathryn St. Jean, a cui l’uomo è legatissimo.

L’investigazione viene fatta soprattutto nei salotti di casa Woodhouse, durante delle cene rivelatorie, o in ufficio, davanti alle consolle dei computer, o della macchina della verità, o mentre si sta facendo una seduta psichiatrica, dove non è detto che sia il dottore a condurre il gioco. Il protagonista è il tipico agente compito, freddo, glaciale, ma con lingua tagliente quando serve, a cui piace pescare, per riflettere. Il suo unico punto debole è la moglie, una Cate Blanchett che fa della sua Kathryn St. Jean, una spia, che è un po’ Morticia Addams, ma anche una femme fatale alla Eva Kant di Diabolik. Il fatto che sia fra i sospettati lo tormenta, perché è davvero innamorato e, per lei, sarebbe pronto a fare qualunque cosa, anche uccidere, forse.

Un film di breve durata, molto dialogato, con diverse scene in interni, o al lago, mentre George pesca e riflette, con un Michael Fassbender con degli occhiali neri, che ricordano quelli di Michael Caine, quando faceva la spia Henry Palmer, fra gli anni’60/90. Davvero affascinante e misteriosa Cate Blanchett, che lo affianca anche a letto, l’alchimia fra i due si sente e si nota, risultando divertente e sagace. Pierce Brosnan al suo primo film di spionaggio, che lo vede a capo di un gruppo di spie, e non come agente operativo, se la cava altrettanto bene, anche se lascia lo spazio agli altri interpreti, apparendo in poche, ma buone scene (bella quella nel ristorante giapponese, fra lui e Cate Blanchett). Qualche parolaccia vola, durante la pellicola, ma tutto è perdonato, visto che l’intrigo tiene bene. Da guardare pensando che i film di spionaggio, vanno visti anche oltre a quelli di James Bond, Jason Bourne e Ethan Hunt.

“FLIGHT RISK – TRAPPOLA AD ALTA QUOTA”

Mel Gibson torna dietro la macchina da presa, spiazzando il pubblico, perché piuttosto che buttarsi sul suo “solito” kolossal, tipo “APOCALYPTO”, “LA PASSIONE DI CRISTO” ed il bellico “LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE”, gira un poliziesco d’azione ambientato tutto, o quasi, dentro un piccolo aeroplano scassato.

Una trama semplice, quasi da film televisivo (un’agente degli US Marshall, per lasciare l’Alaska, assieme un contabile della mala, deciso a testimoniare contro i suoi capi, affitta un piccolo aereo, pilotato da un uomo, che si rivela un killer, pagato per uccidere il contabile, che si è sostituito al vero pilota), un claustrofobico thriller giallo sorretto, e bene, da soli tre attori, anche se ci sono diverse voci, che si sentono via radio, che non li fanno affatto sentire soli. Mel Gibson non potendo fare lui il folle pilota d’aerei e killer (peccato!), si affida al bravo Mark Wahlberg, che in fatto di pazzia è altrettanto interessante (Mark è anche il miglior “effetto speciale” del film, vedi con quale particolare taglio di capelli folle si presenta in scena). Non male neanche l’eroina, Michelle Dockery, che deve non solo vedersela con il killer, usando pistole e teaser, ma si ritrova ai comandi dell’aereo, chiedendo istruzioni via radio, come succede in tanti telefilm e film, di vecchio stampo (si pensi a “AIRPORT”, anche se in tono minore, perché non si è in un aereo di linea, ma in un Piper male in arnese, o al grottesco “L’AEREO PIU’ PAZZO DEL MONDO”, o persino a quegli episodi di “CHARLIE’S ANGELS” “A-TEAM”, dove ai comandi dell’aereo, per farlo atterrare senza troppi danni, c’è un membro del cast fisso, che di aerei non sa quasi niente di aerei da atterrare). C’è, infine, Thoper Grace (che qualcuno ricorderà, nella parte di Eddie Brock/Venom del cinefumetto, del 2007, “SPIDER-MAN 3”), nel ruolo del contabile, con tanto di occhiali e battutine pronte. Fra lui e Wahlberg è una guerra a chi le dice di più grosse, anche se vince Mark, per via del fatto che, essendo uno psicotico, che si ritrova spesso ammanettato, quindi intento a cercare di liberarsi più di una volta, usando espedienti simili a quelli del poliziotto di Mel Gibson, in “ARMA LETALE”, che sono sempre folli e dolorosi, cerca di sfottere la poliziotta con le sue battutine, i suoi doppi sensi e sarcasmi, seminando dubbi anche nella mente del personaggio di Thoper Grace. Un viaggio terribile, un dramma che si svolge perlopiù in uno spazio piccolo, che può avvincere chi si aspetta un thriller ad alta tensione, con poche pretese e pochi, ma azzeccati protagonisti.

Da vedere, per l’insolita regia, forse minore, di Mel Gibson, che cerca di stemperare i momenti morti con colpi di scena (gli assalti, improvvisi, del killer, ad esempio), battute e altri misteri nel mistero (la scoperta che, via radio, fra i colleghi della poliziotta, c’è un traditore), anche se forse non sarebbe stato così sbagliato vedere lui al posto di Mark Wahlberg, perché amiamo quel Mel Gibson che interpreta gli psicopatici, che siano buoni, o cattivi, a seconda del soggetto.