Alla ricerca dell’antico porto etrusco di Gravisca: nuove indagini subacquee al largo di Tarquinia

Un’immagine aerea scattata nel 2024 dal Comando centrale dell’Alto Tirreno della Guardia di Finanza ha riacceso l’attenzione degli studiosi sulla costa di Tarquinia. Nella fotografia, una massicciata parallela al bagnasciuga e una struttura semicircolare che si estende verso il largo per circa 20 metri, con una larghezza di 17, hanno suggerito la possibile presenza di un’infrastruttura portuale antica. Da qui è partita una nuova indagine di archeologia subacquea che potrebbe finalmente portare all’individuazione del porto etrusco di Gravisca, lo scalo marittimo della città etrusca da tempo cercato e mai localizzato con certezza. La notizia è stata anticipata da Il Giorno, che ha raccontato i primi risultati delle ricerche e il contesto scientifico dell’indagine.

Un progetto di ricerca tra università, soprintendenza e carabinieri subacquei

Le attività sono coordinate dall’Università Iulm di Milano, in collaborazione con l’Università di Perugia, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale, e l’Aliquota dei Carabinieri Subacquei di Roma. Un lavoro di squadra che, come spiegato dal docente di Archeologia subacquea Filippo Avilia, ha richiesto un investimento di circa 50mila euro in due anni.
Le indagini si sono concentrate su una massicciata realizzata con pietre calcaree locali, all’interno della quale sono presenti pali lignei che sembrerebbero appartenere a una fase etrusca. Successivamente, in epoca romana, la struttura sarebbe stata riutilizzata con blocchi di macco locale. Secondo le ipotesi degli studiosi, l’opera potrebbe aver avuto una funzione legata alla lavorazione del pesce o a una peschiera, ma il contesto più ampio suggerisce un utilizzo portuale.

Verso l’identificazione del porto di Gravisca

Particolare attenzione è stata rivolta alla zona di base della struttura, in corrispondenza del canale e della duna che separa il mare dalla laguna retrostante. È qui che, secondo gli studi in corso, afferirebbe il porto della città etrusca di Gravisca. La presenza dei cosiddetti neoria, ovvero gli scali per l’alaggio delle navi, rafforzerebbe questa interpretazione. Parallelamente, il team di ricerca ha analizzato nuovi reperti provenienti dagli scavi terrestri di Gravisca, tra cui ceppi di ancora in pietra, pesi in piombo per reti da pesca, elementi per ancore lignee e ami in bronzo. Materiali che contribuiscono a ricostruire il ruolo strategico e commerciale dello scalo etrusco e che potrebbero aprire una nuova fase di studi sul rapporto tra Tarquinia, il mare e il suo antico porto.

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