Costa Concordia: “Non è tutto come raccontato in TV”

di Stefano Tienforti

“Siamo rimasti molto colpiti da quanto sentito alla TV: quel che raccontano non è il contesto che, per anni, abbiamo vissuto; l’equipaggio di Costa Crociere non è così, e ferisce sentirlo denigrare da giornali e trasmissioni per far notizia e spettacolo”.

Sono le parole, amare, di Silvia e Francesco, due ragazzi di Tarquinia, tornati “sulla terraferma” lo scorso anno dopo, rispettivamente, quattro e cinque anni a bordo con Costa Crociere. “Dieci mesi all’anno, in quasi tutti gli angoli del globo. – racconta Francesco – Calcolando le miglia navigate, è come se avessi fatto 50 volte il giro del mondo”.

E l’equipaggio della nave diventa quasi una famiglia: amicizie, storie, rapporti, esperienze condivise e, soprattutto, fiducia. “Conosciamo tanta gente – raccontano – che era a bordo anche del Concordia, e per noi è una follia sentire descrivere l’equipaggio nella maniera fortemente critica utilizzata da molte fonti d’informazione. Potremo sembrare di parte, ma credeteci, c’è tanta fantasia, tanta drammatizzazione nel raccontare questa vicenda”.

Le parole spese dai due ragazzi a sostegno di quelli che, tuttora, sentono come loro colleghi non si fondano, però, solo sull’emotività o l’amicizia: Silvia e Francesco raccontano, nel dettaglio, come quelle persone siano state tutt’altro che egoiste o disorganizzate. Anche perché, spiegano “come avrebbero potuto oltre 4.000 persone lasciare una nave in quelle condizioni, se non fossero state guidate ed aiutate con professionalità e coraggio?”.

Anche perché, e quel che raccontano è frutto della loro esperienza diretta, le procedure di sicurezza su quelle navi funzionano eccome, e sono frutto di lavoro continuo ed aggiornamento costante, anche da parte dell’equipaggio che, a bordo, ha tutt’altro compito, dall’animazione alle cucine.

“Innanzitutto – spiegano – i membri dell’equipaggio possono imbarcarsi solo se in regola con il BST, che certifica a livello internazionale il superamento dei corsi obbligatori per il soccorso, il salvataggio e la sicurezza in mare e che va portato a bordo. Dopo di che, svolgono di continuo aggiornamenti ed esercitazioni: una volta alla settimana viene fatto l’addestramento per l’abbandono della nave, oltre alle dimostrazioni e riunione informative a vantaggio dei passeggeri”.

Perché sono previste – e teoricamente obbligatorie – riunioni d’informazione sulla sicurezza, da compiersi entro le prime ventiquattro ore dopo ciascun imbarco, “riunioni alle quali, in genere, l’attenzione che i passeggeri ci rivolgono è minima”, così che ogni membro dell’equipaggio sia a conoscenza dei meccanismi d’emergenza. Il tutto, spesso e volentieri, sotto gli occhi, per lo più in borghese, della Guardia Costiera, che monitora proprio questi aspetti.

“Di norma- proseguono i due – l’equipaggio è suddiviso per mansioni: chi indica le vie d’uscita, chi gestisce i punti di raccolta e chi organizza le file. Procedure che si svolgono con automatismi allenati, proprio per evitare disagi in situazioni d’emergenza. E la prova è nel fatto che, nonostante tutte le difficoltà, al Giglio sono state fatte sbarcare 4000 persone, al buio ed in poco tempo”.

Francesco, peraltro, una situazione d’emergenza simile a quella del Concordia l’ha anche vissuta, in passato: era il 18 ottobre del 2010 quando, a Shanghai, la Costa Classica cui era a bordo si scontro con una carboniera. “Alle 4 e 46 della mattina – ricorda – suonò l’allarme generale. In quei momenti, anche per noi dell’equipaggio, è difficile rendersi bene conto della situazione e prendere coscienza di cosa sta accadendo. Cercando di mantenere calmi i passeggeri – molti dei quali, allora, cinesi – ognuno svolse il suo compito per gestire l’emergenza: in quel caso, nonostante l’impatto violento, riuscimmo a rientrare in porto, e i passeggeri scesero tutti senza ulteriori disagi”.

Difficile, perciò, credere che al largo del Giglio la reazione dell’equipaggio possa essere stata diversa. Difficile, soprattutto, digerire accuse che si credono infondate e, ancor peggio, ingiuste. “Altro che critiche: chi su quella nave ha permesso a migliaia di persone di uscire indenne da un incubo va solo ringraziato ed elogiato. Perché, sia chiaro, sulla busta paga di quei ragazzi non c’è alcuna voce che li ricompensa per rischiare la vita e prendersi le responsabilità di aiutare gli altri”.