In cucina con Vittoria: l’invenzione della pasta e lo stereotipo italiano

di Vittoria Tassoni

La storia racconta che i Romani, ma si pensa anche gli Etruschi (vedi tomba Golini I di Orvieto), così come altre popolazioni mediterranee, erano a conoscenza del modo di impastare la farina con l’acqua e di stenderla in una larga sfoglia chiamata lagana, che veniva poi tagliata e cucinata.

Nel medioevo, si definirono alcuni elementi decisivi per la costituzione della moderna categoria alimentare della pasta: si iniziò a delineare la varietà delle forme larghe, strette, curve, lunghe, forate, ripiene, ed anche il metodo di cottura divenne diverso. La pasta romana veniva cotta al forno, assieme al suo condimento, che fungeva un po’ da liquido di cottura, ma è nel medioevo che ha origine la consuetudine di bollire la pasta nell’acqua, nel brodo e talvolta nel latte, consuetudine che è arrivata fino ai giorni nostri.

Agli Arabi si deve l’invenzione della pasta secca, tipico trattamento che ne allunga la conservazione e ne permette la trasformazione in un prodotto idoneo al trasporto e alla commercializzazione. Testimonianze storiche affermano che fu il popolo arabo ad escogitare questa tecnica, per potersi garantire scorte alimentari durante gli spostamenti nel deserto. Nei loro ricettari, la pasta secca compare già nel IX° secolo e a tale tradizione è verosimilmente collegata la loro presenza in Sicilia, in località Trabia, ad una trentina di km da Palermo. Nella Sicilia occidentale, di cultura araba, tipiche manifatture di tale produzione, sono testimoniate fin dal XII° secolo, dove si parlava di una vera e propria produzione industriale di pasta secca con conseguenti esportazioni verso la Calabria e in altri paesi musulmani e cristiani. Si narra che furono sempre gli arabi, con molta probabilità, ad usare ed introdurre le paste lunghe in Italia, essendo un luogo di confluenza di diverse culture ma anche di convergenti tradizioni gastronomiche.

Con le città marinare, si determinò un sistema commerciale che accompagnò il moltiplicarsi e il diffondersi dello sviluppo gastronomico della pasta. Nel XII° secolo, i mercanti genovesi erano diventati il tramite per la diffusione della pasta siciliana, da cu ii nome “paste di Genova”. Ai mercati Siciliani e Liguri si affiancarono la Puglia, mentre la parte dell’Emilia, della Lombardia e del Veneto rimase più attaccata alle tradizioni della pasta legate all’uso domestico.

Nel ricettario trecentesco il Liber de coquina napoletano viene descritto il modo di fare le lasagne: il consiglio finale per mangiarla è quello di utilizzare, per il consumo, un attrezzo di legno appuntito tipo forchetta. All’interno di questo ricettario si parla di una pasta genovese, i crosetti, che vanno pigiati (in uno stampo) per ottenerne la una incavata.

Le metodologie di preparazione erano innumerevoli e con tanto di spiegazioni sui vari tipi. Il maestro Martino specifica come si preparano i maccheroni siciliani, che sono simili ai maccheroni che oggi conosciamo, mentre sono diversi i maccheroni romaneschi, che assomigliano molto alle nostre odierne fettuccine.

Ma quando nasce il gusto per la pasta al dente? Diciamo che la pasta non era utilizzata come adesso facciamo noi, ed era avvertita come uno sfizio, una delicatezza e solo agli inizi del seicento si consigliava una cottura non troppo lunga. Fino al XVIII secolo e oltre, la pasta veniva condita con grandi quantità di formaggio e spezie, dovremo aspettare l’800 per abbinare pasta e pomodoro.

Ancora oggi, fuori dall’Italia, la pasta viene impiegata come contorno ad altre vivande. Per avere la pasta come piatto fondamentale e soppiantare il modo di mangiarla fino ad allora, ci volle una carestia. Nel corso del seicento un sovraffollamento demografico a Napoli portò ad una scarsità di carne e verdura e l’unico modo di saziare la popolazione era la pasta. Ma nel contempo, l’introduzione del torchio meccanico consentì di produrre la pasta ad un prezzo più basso e quindi conquistò in poco tempo un primo piano nel regime alimentare dei poveri .

Nel XVIII secolo furono i napoletani a guadagnarsi il nome di mangia maccheroni (anche se per primi furono i siciliani): lo stereotipo del napoletano divoratore di maccheroni non tarderà a diventare un modo di dire comune e, con l’andare del tempo, il termine mangia maccheroni da Napoli si estese a tutto il meridione poi, con l’unificazione dell’Italia da parte dei Savoia, gli si conferì l’italianità.

Ma come mai, in tutto il mondo ci identificano come mangia maccheroni o mangia pasta? Per capire questo, dobbiamo pensare all’emigrazione, che verso la fine dell’ottocento provocò un esodo di Italiani verso l’Europa e l’America: lo stereotipo fu costruito da altri, per individuare i nuovi venuti e le loro abitudini .

Gli italiani, che avevano lasciato la patria fatta di stenti, in terra straniera si ritrovarono con più potere di acquisto, pertanto, il loro desiderio insoddisfatto di mangiare pasta, aggiunto all’ abbondanza di carne, venne finalmente realizzato. Il bisogno di emulare il paese di origine e le loro prelibatezze ha fatto sì che non solo la pasta si rafforzò nelle comunità estere, ma anche l’olio, il parmigiano, il vino, ed è proprio in queste comunità, e in queste famiglie, che si formò uno stile alimentare italiano.

Nelle grandi produzioni cinematografiche si fanno chiare allusioni al cibo e, nello specifico, alla pasta: vedi Totò e Alberto Sordi, personaggi famosi che hanno rafforzato l’immaginario collettivo della nostra identità, associata alla pasta.

Mezze maniche alla siciliana con melanzane e pesto agrumato

 Ingredienti:

  • 320 g di pasta formato mezze maniche
  • 1 melanzana nera lunga (350 g circa)
  • 100 g di mandorle con la pelle
  • 50 g di capperi sotto sale
  • 1 arancia non trattata
  • 1 limone non trattato
  • ½ spicchio di aglio
  • Olio extravergine di oliva
  • Sale

Preparazione:

Affettare la melanzana a rondelle sottili e friggerle in olio profondo. Tagliarle a metà e tenere da parte. Frullare le mandorle con i capperi dissalati e 2-3 scorzette di arancia e di limone. Diluire il pesto con olio fino a renderlo cremoso.

Preparare un soffritto con olio e l’aglio tritato, aggiungervi i ¾ del pesto, far soffriggere brevemente quindi bagnare con acqua bollente, salare e immergervi la pasta. Incoperchiare e portare a cottura integrando man mano con altra acqua bollente.

A pochi minuti dalla fine della cottura (regolarsi con l’assaggio in quanto i tempi di cottura saranno più lunghi di quelli indicati sulla confezione della pasta) aggiungere il pesto restante. Far asciugare il liquido in eccesso e togliere dal fuoco leggermente “all’onda”. Aggiungere le mezzelune di melanzana fritta, mescolare e servire.