“Lettera aperta ad un medico di base”

Riceviamo da un assistito e pubblichiamo

I meno giovani (come chi scrive) hanno un ricordo particolare del rapporto fiduciario che li legava fin dall’infanzia al proprio Medico di famiglia. Era una figura insostituibile per tutte le necessità più o meno gravi connesse con la propria condizione fisica.

Dalle tonsille all’applicazione di qualche punto di sutura ci si rivolgeva al proprio medico (c.d. della Mutua per quelli privilegiati, il cui capo famiglia svolgeva un lavoro garantito dalla copertura assicurativa). Pur specializzato in Medicina Generale il Medico di Famiglia compiva anche minimi interventi “chirurgici”, effettuava diagnosi sulla base della propria esperienza e della sintomatologia raccontata dal malato, sull’osservazione delle condizioni di vita familiare e sull’aspetto fisico generale, assegnando ad ogn’uno la migliore cura possibile.

Non era ancora prevalso l’uso della “medicina difensiva”, la Sanità aveva costi percentualmente inferiori a quelli attuali, come tutta l’assistenza in genere, un’unghia incarnita non veniva curata al “pronto soccorso”, perché l’Ospedalizzazione era una cosa seria, grave ed al tempo stesso foriera di timori anche esistenziali.

Questo poiché il Medico di famiglia era sempre reperibile e disponibile a rassicurare il proprio paziente, di cui conosceva perfettamente l’anamnesi familiare e con essa anche la sua condizione psicologica. In tali condizioni anche le malattie dell’anima, non meno numerose di quelle del corpo (come diceva Seneca), trovavano conforto, magari con una visita domiciliare esaudita dal Medico dopo l’orario ambulatoriale.

Altri tempi!! Trascorsi in una situazione di povertà economico-sociale, ma di maggiore ricchezza sotto il profilo umano. Nel complesso delle attuali abnormi pretese assistenziali non sarebbe più possibile quel tipo di rapporto con il Medico di Famiglia, che viene (spesso ingiustamente) accusato di essere un semplice strumento di burocrazia, che produce solo ricette conformi alla volontà del paziente o “impegnative” per visite specialistiche alcune volte inutili.
Alcuni sostengono che in qualche misura la “Pandemia” possa aver accentuato tale fenomeno.

Fortunatamente non è così ed anzi alcuni professionisti hanno moltiplicato il loro impegno nei confronti dei propri assistiti e non solo. L’esempio concreto è fornito dall’opera del Dott. Alberto Riglietti, il quale non ha mai trascurato il proprio ruolo principale di cura e di sostegno, a qualsiasi ora ed in qualsiasi contesto si è reso disponibile per chiunque, ha organizzato una campagna vaccinale ben oltre i propri compiti istituzionali, è sostanzialmente divenuto un punto di riferimento per molti cittadini Tarquiniesi.

Con animo “malevolo” qualcuno potrebbe addirittura ipotizzare che un tale impegno sociale, prima che medico, possa essere dettato anche dalla ricerca del consenso connesso con il ruolo politico che ricopre il dott. Riglietti. Non sono d’accordo. La ricerca del consenso non può essere un fine, ma in alcuni casi è una inevitabile quanto giusta conseguenza dell’impegno e dell’azione sociale.

Questo al di là di posizionamenti in schieramenti politici, che posso anche non condividere, senza però sminuire in qualche modo la valenza e l’onestà intellettuale di chi, come per il caso del dott. Riglietti, ha manifestato il proprio impegno nei confronti di tutti e la propria partecipazione sempre e comunque. Di questo ne ho discusso personalmente con Lui, senza avvisarlo naturalmente di voler esternare per iscritto le mie riflessioni, essendo comunque sicuro che nessun eventuale incarico istituzionale potrebbe distrarlo dal suo impegno professionale.