Lettere al Direttore: “Appunti di un viaggio”

Riceviamo e pubblichiamo

Viaggio ormai da 10 anni con un gruppo di amici che come me ama il fai-da-te. Ognuno ha un compito nella pianificazione del tour e questo dà valore e ancora più piacere al viaggio stesso.

Abbiamo scelto la Polonia e siamo partiti in questo periodo pre-Natalizio. È stata una sorpresa scoprire Cracovia con le eleganti linee architettoniche dei suoi palazzi, la sua storia di antica capitale, la vivacità propria di una città universitaria, la religiosità profonda che si respira nelle chiese, i colorati mercatini dell’Avvento.

Proseguiamo poi per Oswiecim come cerco di dire in un Inglese stentato e un Polacco improvvisato alla bigliettaia della stazione: ho una remora a pronunciare Auschwitz per non urtare la sua sensibilità.

Prima di iniziare la visita del campo ci forniscono una targhetta adesiva con un colore diverso per ogni lingua e che facilita il compito delle varie guide nella formazione dei gruppi. La appiccichiamo, quasi inconsciamente all’inizio, sul petto dei giacconi. Più tardi ci farà ricordare il colore con cui venivano suddivisi i vari prigionieri del campo. Ci conduce Margherita, una guida che con ottimo italiano e tanta empatia ci introduce nella storia, organizzazione e quotidianità del campo. Il primo impatto è con la musealizzazione di Auschwitz, ma basta poi addentrarsi nei dormitori, nel cortile dell’appello per i prigionieri, nei corridoi pieni di foto, passare davanti al muro delle esecuzioni per iniziare un viaggio nel dolore.   Ci facciamo sempre più silenziosi davanti alle cataste di valigie, scarpe, vestiti, capelli appartenuti a chi era diverso per religione, etnia, idee politiche.

Ma è a Birkenau che la follia nazista ha raggiunto il culmine con scientificità. Un binario ferroviario oltrepassa all’entrata una costruzione con un arco e conduce in 120 ettari di atrocità. I piazzali di discesa dai treni per la prima cernita dei più deboli, la rampa che conduceva alle docce di gas, i resti di un forno crematorio. Camminiamo su una terra fangosa impastata ancora oggi di ceneri, siamo a testa bassa quando entriamo nei dormitori con i letti di legno a tre piani, nelle latrine comuni, davanti ai luoghi degli esperimenti di Mengele.

È freddo umido. Sembra strano che un raggio di sole appena uscito faccia in tempo a tramontare tra due baracche. Siamo sfiniti dopo tre ore e mezzo di visita. Usciamo senza girarci indietro.

Sull’autobus di ritorno a Cracovia carico di giovani facciamo conoscenza con un gruppo di studenti spagnoli che fanno l’Erasmus a Camerino. Sono simpatici e curiosi. Ci chiedono i termini italiani, la pronuncia, vogliono sapere se conosciamo la Spagna. La loro allegria ci contagia e ci accompagnerà ogni volta che li incontreremo nei giorni successivi.

Mi trovo a pensare che fra le cose che funzionano in questa Europa dei grigi burocrati della finanza, c’è sicuramente il progetto Erasmus che permette a tanti ragazzi di conoscere altre università e altri Paesi Europei e soprattutto di abbattere tanti steccati culturali, razziali e di supremazia nazionale. E non è un caso che ad Auschwitz quel giorno abbiamo incontrato tanti giovani.

Paolo Fiorentini