Lettere al Direttore: “Tarquinia brucia”

Riceviamo e pubblichiamo

imageSe il centro storico è morto, l’altra Tarquinia, quella fuori le mura, è moribonda. La causa della decadenza non va cercata nella crisi economica o non solo in essa, è prima di tutto afferente alla socialità, all’impossibilità di una vita pubblica, di viverne una, cioè, nel proprio paese. Questa condizione si ripercuote, per forza di cose, in una decadenza anche economica, in un circolo vizioso che ha un unico capolinea: la morte civile. Non alla crisi quindi, ma ad una serie di scelte amministrative che non sono coerenti con la vocazione del paese è da imputarsi lo stato terminale di Tarquinia.  Lungi da me il ruolo della Cassandra di turno, ma se Troia brucia, qualcuno deve pur darne l’allarme.

Tarquinia non ha più una piazza, o meglio non ne ha più una che possa dirsi tale, il centro storico è stato chiuso secondo un criterio che comprende solo il suo ideatore, tutti gli altri non ne hanno contezza. L’isola pedonale non sappiamo cosa sia a Tarquinia, il centro storico è diventato un percorso ad ostacoli per automobilisti temerari con il risultato che tutti ci passano (in macchina) e nessuno ci si ferma, turisti (pochi) in primis. Fuori dal centro parlare di degrado è un eufemismo, buche, strade rotte, disservizi, secchi per la raccolta di rifiuti porta a porta ovunque. Voglio dire, nella gestione di un paese oltre i marciapiede c’è di più; i parcheggi ad esempio.

L’amministrazione comunale deve prendere immediate iniziative volte al ripristino della vita sociale dentro e fuori le mura, a tutela del paese e delle attività produttive che vi insistono se non vuole ridurle alla canna del gas. Da commerciante sto soffrendo da mesi alcune situazioni che a quanto sembra sono compatite da altri operatori del quartiere “Paparello” e dintorni: dal Piazzale Europa fino alle Poste, passando per l’ Ospedale e Via delle Croci, parcheggio non ce ne è e i vigili stazionano come dei falchi dispensando multe anche quando il buon senso imporrebbe di chiudere un occhio. Ormai i fischi della polizia locale, quando ci sono (perché spesso neppure fischia), sono un incubo ricorrente, le poche attività rimaste agonizzano sotto l’intransigenza dei pubblici ufficiali.

L’amministrazione comunale per noi esercenti fuori le mura (la condizione di quelli dentro le mura non la conosco, ma ad occhio e croce – vedi sopra – non mi sembra rosea neppure la loro) è diventata un’entità ostile, una zavorra: esige tasse, non eroga servizi, pone limitazioni ed ostacoli e manda i suoi sceriffi a fare cassa sui nostri clienti che non potendosi più neppure fermare vengono dirottati a centri commerciali e grande distribuzione lontano dai centri abitati. Se non è presagio di annichilazione questo!

Non parliamo delle strade, anzi si, parliamone. Sono sporche, indecorose, i tombini non ricevono l’acqua piovana e ogni volta che cadono due gocce di troppo per attraversare bisogna munirsi di stivali da palombaro. Siamo infestati dai ratti. Mi capita sempre più spesso di dover rimuovere carcasse di topo dalle vie adiacenti la mia attività. Lunedì, stufa della situazione, con un ratto morto grosso come un gatto in mezzo allo stop con cui via Muzio Polidori si congiunge con via IV novembre, e data la presenza per tutta la mattina delle Walker Texas Rangers municipali armate di fischietto, blocchetto e inclemenza (Dio perdona, loro no), ho chiamato il comando della polizia locale per capire se al “Paparello” i vigili venissero solo per fare le multe oppure se avessero anche il compito di segnalare a chi di dovere situazioni di degrado urbano. La carcassa del ratto è stata rimossa alle 12.00 circa, dopo mia segnalazione, nonostante la presenza dei pubblici ufficiali in loco già dalle 9.00 di mattina.

Non chiediamo luci policromatiche nella fontana del piazzale, niente cromo terapia pubblica, non ci interessa, però un po’ di delicatezza per chi, a dispetto di tutto e tutti, ogni mattina continua a tirare su le serrande delle proprie attività per sopravvivere e far sopravvivere, quella si, la chiediamo. Anzi no, la rivendichiamo proprio.

Diletta Alessandrelli,
commerciante in Tarquinia