ESCLUSIVO, intervista al sindaco Giulivi – PARTE I – “Una chance per altri cinque anni? Non sono io a deciderlo, saranno i cittadini”

alessandro giulivi
Ph: Roberto Romano

di Stefano Tienforti

Riprendendo un’abitudine inaugurata ai tempi dell’ex sindaco Mauro Mazzola e interrotta negli anni del Covid, a cavallo del Capodanno il direttore de lextra.news torna a intervistare il sindaco di Tarquinia. Una chiacchierata di quasi un’ora, riportata pressoché integralmente e suddivisa in due puntate (la prossima sarà online domani mattina, 5 gennaio) iniziata con le due domande che saranno il filo conduttore delle interviste e delle analisi sulla città de lextra.news in questo 2023:

D – Cosa è Tarquinia? E dove va?

R – Credo non lo abbia ancora capito bene, perché è una via di mezzo tra un paese e una città. Sta in mezzo alla palude, la sta attraversando. In tanti preferiscono resti un paese perché è molto più semplice viverci o governarlo; tanta altra gente vorrebbe invece voltare definitivamente pagina e farla diventare una città, che è il ruolo che le compete. Non a caso il titolo di città lo abbiamo preso vent’anni fa.

Dove va? Dovrebbe raggiungere il posto che le spetta e secondo me Tarquinia come qualità, come città, è il primo paese della provincia di Viterbo. Se avesse solamente un po’ più di voglia e la gente ci credesse di più. Oggi non è semplice crederci, soprattutto per gli investitori, e per far decollare un paese non basta un comune, servono anche le persone che investono su di esso. Con tutto quello che abbiamo messo in campo siamo ancora abbastanza fermi rispetto a quanto possiamo essere: non è, oggi, sinceramente, la Tarquinia che vorrei. Manca ancora molto per arrivarci, ma un’indirizzata gliel’abbiamo data e gliela stiamo dando, dal Lido in avanti, anche se ancora non sono soddisfatto.

D – Come sintetizzeresti il percorso di questi tre anni d’esperienza amministrativa?

R – Intanto ho scoperto che rispetto a vent’anni fa è cambiata, in peggio, la figura del sindaco, che allora era più tutelato e credo fosse molto più vicino alla realtà della città. Oggi purtroppo, ancora di più con il Covid, questo rapporto è stato stravolto. Resta, però, l’idea che Tarquinia deve essere il fulcro di ogni singola decisione, al di là del valorizzare il patrimonio Unesco, di aprire un parcheggio alla necropoli, e forse dopo anni ci stiamo riuscendo, o di riqualificare e sistemare aree come l’ex mattatoio o la vecchia cartiera

E anche al di là di quanto sta accadendo politicamente in Italia. All’inizio, questo era un comune targato Lega, che abbiamo lasciato quando era al 34%, perché già dall’inizio non mi piaceva la politica che il partito stava facendo. Oggi siamo un comune che non ha una connotazione politica.

D – In effetti si direbbe Fratelli d’Italia, vista la presenza in giunta di Riglietti.

R – Ma non è detto che un comune debba avere per forza una connotazione. Quando mi chiedono, da dopo l’uscita dalla Lega, “E ora che fai?” io rispondo: “Faccio il sindaco”. Anche perché non è che a me la Lega abbia dato qualcosa in più rispetto a ciò che io ho fatto. E poi oggi non credo che avere una connotazione politica sia così conveniente. I partiti secondo me hanno perso la loro logica: penso all’imposizione dei candidati coi sistemi elettorali attuali, al fatto che se voglio votare una persona non posso più farlo, perché i nomi sono già imposti. Facciamo un esempio: qui, alle Politiche, chi ha votato Fratelli d’Italia di fatto ha votato Durigon, spostatosi da Latina per venire a Viterbo, dove chissà se si vedrà ancora.

D – Credevo tra voi ci fosse un buon rapporto.

R – No, o almeno non più. Oggi non ho alcun rapporto che mi unisca alla Lega, tanto per essere chiari.

D – Un passaggio su cui la chiarezza non è mancata, con un comunicato ormai di quasi due anni fa.

R – Esatto. Sono uscito allora.

D – Il risultato delle Politiche dimostra, però, che l’amministrazione si è comunque mossa su quel fronte.

R – Chiaramente non abbiamo una connotazione di centrosinistra. Possiamo anche essere una forza civica, ma restiamo legati ai valori del centrodestra. Il civico, però, ti garantisce nel non avere padroni. Anche perché qui non ne abbiamo mai avuti. Nessuno ci ha mai detto cosa dovevamo fare o imposto qualcosa, anche perché io personalmente non avrei mai permesso una cosa del genere. Cosa che invece accade in tanti altri comuni dove la connotazione è più politica.

Io invece sono uscito dalla Lega perché, in quel momento in cui ero anche responsabile provinciale della Lega, pensavano comunque di dirigere l’orchestra da un’altra parte, non localmente. Come sempre, i politici vengono da noi, prendono quello che serve e se ne vanno.

D – Ti ha deluso questa cosa?

R – A me delude tutto quello che non va a buon fine. Pensavo ci sarebbe stata una prospettiva futura. Poi chiaro, non esiste un partito perfetto, ma a oggi penso si debba rivedere totalmente la politica nazionale. Sappiamo bene che oggi sei al 34% percento, domani sei al 3: è tutto talmente volatile oggi, non più come prima, in cui si era legati a una base territoriale forte. Oggi i partiti nascono, crescono e muoiono in maniera rapida.

D – Facciamo un passo indietro: prima hai detto che è cambiato il ruolo del sindaco. In che senso?

R – Alla fine di tutta la catena amministrativa, sotto a Governo, Regioni e Province, rimangono i sindaci: e, al di là di chi legifera, chi poi deve mettere in atto i provvedimenti è l’ultimo anello della catena, cioè i sindaci.

D – Mi sembra pure giusto, in fondo il sindaco è colui che meglio conosce il proprio territorio.

R – Vero, ma il problema è che al sindaco vengono dati incarichi di lavoro importanti senza dargli gli strumenti adeguati.

D – E cosa cambieresti di questo sistema?

R – Intanto abolirei le Regioni e rimetterei le Province che, quando c’erano, erano più vicine al territorio e ai sindaci, garantendo una qualità diversa nell’intervento e nel sostegno. Negli anni ‘90 abbiamo voluto fare questo “carrozzone” chiamato regione e cercato di abolire le province, ora si torna indietro perché si è capito che comunque, a livello di strade, scuole, infrastrutture, la provincia non la puoi abolire. Poi darei non tanto più potere, quello ce l’hanno già, ma più tutela ai sindaci, che diventano il capro espiatorio di qualsiasi cosa. Oggi se un sindaco mette una firma sbagliata è il primo a essere chiamato a risponderne alla magistratura, e questo non è possibile. Perché poi, di fatto, a volte si è costretti a mettere quelle firme.

Infine cambierei anche il discorso a livello economico. È normale che un paese come Tarquinia dia, oggi, qualcosa come 3 milioni di euro di IMU sulle seconde case ai comuni che sono più svantaggiati? Non deve essere il Comune di Tarquinia a darglieli, deve essere il Governo. Giusto e legittimo che le prime case non paghino, ma del gettito sulle seconde case nemmeno la metà resta a Tarquinia. E poi il bilancio comunale ha sempre la coperta corta.

Faccio un altro esempio: è inutile che paghiamo la tassa di possesso, all’epoca detta tassa di circolazione, alla Regione, se poi le strade vanno rifatte con risorse comunali. Per la manutenzione dei manti stradali, la Regione che prende la tassa di possesso non dà un euro ai comuni: sono queste le cose che vanno riviste. Non dico che dobbiamo diventare federalisti, ma almeno un minimo di ciò che deriva dal Comune dovrebbe restarvi, non essere portato via da altri. Adesso, per restare in tema, ci sarà la Bolkestein, vediamo come andrà a finire, ma anche tutto il discorso delle spiagge vede il comune spendere soldi, ma non gli resta nulla, perché tutto quello che pagano i concessionari finisce altrove. Restano solo le problematiche.

D – Partendo da questi presupposti, hai pensato alla Regione, per cambiare questi meccanismi, o proprio per questi motivi non ti interessa?

R – No, a me non interessano né la Regione, né tantomeno il Governo. Perché comunque quello per cui oggi vai in Regione non lo vedrai realizzato, così come a livello di Governo. Se ci fossero un Governo o una Regione molto più funzionali e vicini ai cittadini, magari uno ci penserebbe. Invece la Regione è una cosa da chiudere, secondo me, riportando tutto in un ambito più vicino ai cittadini. E poi sono enti così distanti, nel contatto non solo con i cittadini, ma anche con le istituzioni comunali: e non dipende solo dal Covid, che pure ha peggiorato la situazione, era così anche prima. Se pensi che abbiamo un porto turistico già pronto, inserito nel piano dei porti, e ancora non c’è stata la conferenza dei servizi per poterlo attuare… Parliamo di almeno tre anni, solo considerando da quando ci sono io, e di un’opera che cambierebbe l’aspetto del territorio.

D – Altro passo indietro: torniamo alle firme. Qual è quella che ti è pesato più mettere, in questi ultimi tre anni?

R – Tutte quelle sulle ordinanze legate al Covid, alle limitazioni della libertà personale. Perché comunque negavi un diritto alle persone. È come quando firmi un TSO: in pratica neghi il diritto alla libertà a una persona e, logicamente, sono tutte firme pesanti. Però a mali estremi, estremi rimedi: devo comunque fare l’interesse generale, o almeno cercare di farlo. In quel periodo, duro, pesante, non conoscevamo la malattia, oggi dopo tre anni sappiamo molto di più di questo virus, ma all’inizio era giusto secondo me mettere in atto tutte le azioni che potessero mitigare i rischi per quella situazione.

D – Sei soddisfatto di questi tre anni e mezzo?

R – No, perché in questi anni non ho potuto fare quello che avrei voluto. Che poi, di fatto, si sono ridotti a neanche uno, dato che del Covid paghiamo ancora oggi le conseguenze: se pensi che questa amministrazione è stata eletta a giugno e in autunno si è iniziato a parlare di Covid, non c’è stato nemmeno il tempo di organizzarsi. Poi con tutto quello che è successo e sta accadendo anche oggi, tra piano energetico, guerra eccetera, stiamo vivendo un’altra emergenza. Abbiamo dovuto programmare lo spegnimento di molte luci cittadine, altrimenti una bolletta già lievitata in maniera sensibile, senza aiuti e senza niente, sarebbe insostenibile per comuni che non hanno risorse illimitate cui attingere. Se il costo per l’energia del comune era intorno ai 6 o 700 mila euro all’anno, e oggi si raddoppia, il Comune dove li prende questi soldi? Aumenta le tasse ai cittadini? Possibile che dobbiamo sempre cercarli lì i soldi? Io credo che i cittadini vadano aiutati, in questo momento particolare, non ancora più vessati.

D – Non ti chiedo se ti ricandidi o meno, ma mettiamola così. Questa situazione ti fa venire più voglia di fare altri cinque anni o te la fa proprio passare del tutto?

R – No, la voglia non passa. Sennò farebbero tutti così: passa la voglia e smetti di combattere. Ma significherebbe arrendersi, e io non mi arrendo così facilmente, almeno per quanto riguarda progetti e programmi. Visto che comunque alla base di tutto c’è Tarquinia, un paese che ognuno di noi ama in un rapporto di croce e delizia, da Cardarelli in avanti. Un paese che affascina ed entusiasma, che va riportato nel ruolo consono alla sua storia. Ma non è così semplice: a chiacchiere è un attimo, ma se questa amministrazione avesse avuto un po’ più di tempo per pensare alla produttività e non alle emergenze avremmo avuto un altro spirito e un’altra testa.

D – Quindi ci pensi a chiedere un’altra chance per questa amministrazione?

R – Se ci sarà un’altra chance non lo decido io: saranno i cittadini a considerarlo. Io credo che un progetto bisogna cercare di portarlo avanti e per farlo serve tempo. Se ci pensi, a oggi, tutti i progetti principali non sono partiti, anche perché quanto messo in bilancio è aumentato del 40% dal punto di vista dei costi e aumenta mese dopo mese, e non sempre ci sono le risorse economiche per coprire questo aumento. Forse chi sta al di fuori dell’amministrazione queste cose non riesce a vederle, perché non le vive, oggi però è difficile anche portare avanti e terminare i progetti finanziati e messi nel programma delle opere pubbliche triennali.

Domani la seconda parte dell’intervista che tocca, tra gli altri, temi come la zona a traffico limitato e l’Università Agraria.