Riceviamo da Tamara Torresi e pubblichiamo
Oggi i regali di Natale arrivano già a inizio dicembre, ordinati online, scelti dai bambini con pochi clic, senza nemmeno la magia di una letterina scritta a mano. Non c’è più l’attesa, né la sorpresa. I bambini ricevono spesso troppo e troppo presto.
Giochi che si moltiplicano, pacchi che si accumulano sotto l’albero ancora prima che arrivi la notte del 24 dicembre, per non parlare dei dolci tradizionali ormai in vendita da mesi negli scaffali dei supermercati. Mi tornano in mente i racconti della mia famiglia. Mia zia ricordava con emozione il Natale della sua infanzia, quando sotto l’albero trovava una bambola. Poteva giocarci solo pochi giorni, poi scompariva, custodita con cura dalla madre, per tornare prodigiosamente l’anno dopo nel giorno di Natale. Sempre lo stesso dono per tutti gli anni dell’infanzia, ma sempre apprezzato e amato.
O mia nonna, che raccontava che il Natale negli anni ‘20 era un giorno di vera festa perché era l’unico giorno dell’anno in cui si poteva mangiare fino a saziarsi, e non solo verdure e patate, come tutti gli altri giorni, ma soprattutto carne di maiale che nella tradizione contadina simboleggiava prosperità e buona annata: avere carne in tavola a Natale era un lusso.
Non c’erano regali materiali ma c’era la gioia e la gratitudine per un pasto condiviso. Oggi, invece, il rischio è quello di insegnare che il Natale è consumismo e velocità. Forse per recuperare il senso vero e profondo della festività basta poco: non serve tornare, come una volta, a regalare una sola bambola per dieci Natali, ma tornare a vivere la magia del Natale come un dono. Non da scartare in anticipo, ma da aspettare senza frenesia, riscoprendo la meraviglia delle emozioni.
