A Roma “Homo Sapiens”: la grande storia della diversità umana

di Romina Ramaccini

Aperta al pubblico l’11 novembre 2011 e prorogata fino al 9 aprile 2012, la mostra “Homo Sapiens: la grande storia della diversità umana”, visibile al Palazzo delle Esposizioni di Roma, ha avuto un notevole successo, dovuto soprattutto al valore culturale che riveste per l’intera società. Non solo un grande numero di scuole; le sale espositive hanno visto anche la partecipazione di persone appartenenti alle diverse fasce d’età e chiunque, uscirne soddisfatto. Per tutto il percorso espositivo infatti, si ripercorrono le fasi dell’evoluzione umana, senza tralasciarne nulla ed attraverso un linguaggio semplice e diretto, di modo che chiunque può immergersi in una dimensione in gran parte sconosciuta.

La Mostra, suddivisa in sei sezioni, segue un ordine cronologico, partendo dalla nascita del genere Homo e dalle prime tracce dei nostri antenati camminatori, fino all’invenzione dell’agricoltura e alle espansioni umane recenti che precedono le epoche storiche, passando attraverso le svolte più drammatiche del popolamento umano. Un unico filo conduttore accomuna l’intera esposizione: lo spostamento, azione che ha dato vita alla diversità umana, ma al contempo alla sua unità genetica.

All’ingresso, un’istallazione ci riporta all’eruzione del vulcano Sadiman (in Africa orientale) avvenuta 3,5 milioni di anni fa, nella cui cenere sono rimaste impresse le prime orme a noi conosciute della specie bipede: appartengono a due australopitechi, alti circa un metro, con caratteristiche ancora scimmiesche, ma al contempo con una postura eretta che darà inizio da lì a breve, alla nostra specie. Accanto a questa testimonianza, Lucy, primo scheletro a noi noto (in mostra, un modello che riproduce gli originali frammenti, 40 in tutto, inserendoli distintamente nel restante plastico) e risalente a 3,2 milioni di anni fa, ci mostra concretamente come dovevano essere i nostri antenati.

Dalla sala successiva ulteriori ricostruzioni, accompagnate da cartine geografiche e grafici, ci mostrano le varie fasi evolutive della specie Homo e le diverse specie che convivevano. Ad 1.185.000 di anni fa risale invece la prima testimonianza di vita fuori dal continente africano. Inizia da qui quell’ “espansione ramificata” che farà sì che l’intero continente venga man mano abitato: l’uomo inizia a sopravvivere in condizioni climatiche diverse da quelle in cui aveva vissuto fino a quel momento, si entra in contatto con nuovi mondi, con nuove popolazioni che tenderanno ad assimilare molte delle abitudini dei nuovi luoghi esplorati.

Quando la nostra specie Homo Sapiens nasce in Africa per poi spostarsi, entra infatti in contatto con un mondo affollato di specie del genere Homo, precedentemente fuoriuscite dal continente africano. Dalla nostra convivenza con il “cugino” Neanderthal, con il piccolo Uomo di Florens e quello di Denisova, da quando si sono fatte le prime scoperte, mai si è entrati a conoscenza di una vita in solitudine. Questa risulta solo essere pura immaginazione che negli anni ha trovato adito nella nostra mente. Da sempre l’uomo si muove in gruppo e da sempre questo ha sentito la necessità di non isolarsi. L’Homo Idelbergensis è quello che può considerarsi un nostro antenato più stretto: la cassa cranica si estende, non più solo erbivero, è un uomo che va a procurarsi il cibo da solo attraverso la caccia e non più rubando carcasse lungo il suo percorso. Iniziano i primi accampamenti ed un’organizzazione sociale complessa.

Dalla terza sezione della mostra, il viaggio nell’evoluzione culturale di queste popolazioni oramai emigrate in nuovi continenti: l’espansione ha raggiunto l’Europa lasciando testimonianze di notevole importanza. Numerose sono le pitture rupestri scoperte in Francia e Germania, oltre a resti rinvenuti che attestano veri e propri riti funebri. Ma l’Europa non è l’unico continente ad esser occupato, anche l’America e l’Australia fanno parte di questo grande viaggio e ciò è quello che ha causato in gran parte l’estinzione di molte specie animali di cui si nutriva l’uomo e con le cui pelli iniziarono a fabbricare i primi oggetti.

Un intero universo da scoprire insomma, tutto esposto in una mostra che per la sua vastità merita di essere visitata. Nelle ultime sezioni, quelle maggiormente vicine a noi, oltre ad ammirare resti di animali oramai estinti, come il curioso teschio di Mammut rinvenuto nelle campagne tarquiniesi, l’elefante “nano” siciliano e l’ippopotamo scoperto a Roma, un’intera sala è dedicata alla nascita della scrittura ed al suo rendersi internazionale. Con l’inizio del commercio infatti, dai primi sistemi di conteggio, composti da “gettoni” di pietra, si passa a tavolette di terracotta per poi giungere gradualmente al linguaggio odierno. Bellissima è la prima versione a stampa della Divina Commedia, o ancora, il Decameron del Boccaccio ed altri testi della letteratura Italiana. Nella stessa sala inoltre, una piccola moneta riporta per la prima volta il nome della nostra nazione: Italia. Risalente all’epoca romana, ha visto la sua origine grazie agli alleati italici di Roma che aiutarono la città a sconfiggere il nemico durante le numerose guerre. Delusi per non aver ottenuto la cittadinanza romana, decidono di fondare una confederazione ed assumono il nome Italia, poi riportato nelle monete da loro stessi coniate.

Interessanti anche le testimonianze etrusche qui esposte per sottolineare l’evoluzione della scrittura e la sua trasformazione nella nostra penisola. Al termine del percorso espositivo si può giungere ad un’unica conclusione: nella diversità del mondo, sta la nostra uguaglianza. La razza è ciò che nasce dal nostro cervello, dalle nostre credenze e convinzioni. Tutti noi proveniamo da un’unica stirpe, quella dell’Homo Sapiens, nata in Africa 200.000 anni fa e che spostandosi, ha dato vita ad una serie di cambiamenti ed abitudini che ci hanno condotto alle diversità che oggi riteniamo appartengano alle varie “razze”. La nostra penisola, esempio concreto di questa credenza, è una, eppure basta spostarsi di pochi chilometri per ammirarne le infinite diversità. Darwin c’aveva già illuminati a riguardo: siamo tutti legati in un’unica rete.